mercoledì 19 marzo 2008

Nasce l'osservatorio sul consumo di suolo

Una iniziativa INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e Legambiente.

Le Province della 'Bassa' lombarda sono la nuova terra di conquista del cemento

Chi più ne ha, più ne spreca. Stiamo parlando del territorio agricolo lombardo, sempre più 'terreno di conquista' per iniziative immobiliari e opere infrastrutturali che non tengono in conto il valore dei suoli: un valore che è allo stesso tempo ambientale, paesaggistico e agricolo, ma che sparisce di fronte alle rendite speculative connesse alla sua trasformazione in terreno edificabile. Di questo si è parlato al convegno organizzato oggi da Legambiente Lombardia con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale Lombardo.


Quanto siano speculative le rendite connesse al consumo di suolo lo si capisce dalla pressione che esse esercitano sui terreni agricoli della 'Bassa'. A Mantova spetta il titolo di 'provincia sciupasuoli'. In tutta la provincia mantovana, ogni anno, 'spariscono' 616 ettari di suolo prevalentemente agricolo, cioè una superficie pari a quella di un migliaio di campi di calcio, per far fronte ad un fabbisogno che non ha nulla a che fare con la domanda di residenza: infatti, con una popolazione che è appena un decimo di quella della provincia di Milano, a Mantova si consumano ogni anno 16 metri quadri di suolo per abitante (a Milano il dato pro capite è 2,4 mq). Ma nella categoria 'sciupasuoli' ci sono un po' tutte le provincie della 'Bassa': Pavia e Lodi (11 mq/ab*anno), Cremona (8,6) e Brescia (8,0 mq/ab*anno). Tutti territori di conquista per una alluvione di capannoni spesso vuoti, centri commerciali con annessi parcheggi, strade. Certo, la 'bolla immobiliare' ha giocato a favore di questa crescita inflattiva di consumi di suolo, ma il dato è destinato a consolidarsi, e forse anche a peggiorare, con le previste nuove opere autostradali (Cremona-Mantova, Tirreno-Brennero, Broni-Mortara, BreBeMi) che porteranno con sé anche una crescita di valore immobiliare per i suoli in prossimità dei futuri svincoli. Le situazioni più gravi restano, come ovvio, quelle dell'area metropolitana che da Varese e Milano si estende ormai senza interruzione fino a Brescia, provincia in cui il dato del consumo di suolo è in assoluto il più alto della Lombardia (929 ettari all'anno nel periodo 1999-2004), di poco superiore perfino a quello milanese che tuttavia presenta una situazione ormai consolidata di cementificazione pervasiva, specie nel quadrante nord. Tuttavia il dato delle province meridionali lombarde è preoccupante perchè indica una tendenza alla crescita del cosiddetto sprawl urbanistico, un termine anglosassone che significa 'sparpagliamento' disordinato degli insediamenti e che porta con sé costi ambientali crescenti, a partire dall'aumento della mobilità commerciale e privata, e quindi dell'inquinamento atmosferico, ai danni di un territorio agricolo che è tra i più fertili e produttivi d'Europa.


I primi dati raccolti ed elaborati dal DiAP (Dipartimento di Architettura e Pianificazione) del Politecnico di Milano, nell'ambito del costituendo Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo promosso da INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e Legambiente, parlano di una Lombardia che consuma quasi 5000 ettari di suolo ogni anno, pari a circa 140.000 metri quadri di terra Lombarda che ogni giorno vengono coperti di cemento e asfalto.


“Suolo e acqua sono le risorse naturali più preziose di cui dispone la nostra regione – commenta Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia –, il suolo in particolare è una risorsa non rinnovabile e che quindi, una volta consumato, non sarà più disponibile per le generazioni che verranno. Occorrono politiche e norme efficaci contro la dilapidazione del patrimonio territoriale lombardo, che purtroppo è favorito dai comuni per i quali le concessioni di nuovi volumi edificabili rappresentano il modo più facile per fare cassa”.


Per raggiungere l'obiettivo della tutela dei suoli, Legambiente propone di attuare la 'compensazione ecologica preventiva': si tratta in pratica di vincolare ogni trasformazione di suoli alla realizzazione di interventi di riqualificazione e cura del paesaggio attraverso azioni di rinaturazione, per responsabilizzare il settore delle costruzioni e incentivare l'edilizia della ristrutturazione e del riuso delle aree dismesse rispetto a quella che occupa territori 'vergini'.


“Sono sempre di più i Paesi europei che mettono in campo norme rigorose per preservare le proprie risorse di natura e paesaggio connesse con la conservazione del territorio rurale – conclude Di Simine -. In Italia e in Lombardia non esiste ancora nulla di simile, ma non c'è tempo da perdere se vogliamo impedire che la nostra regione diventi una distesa caotica di piastre commerciali, autostrade e parcheggi”.

Dati sul consumo di suolo in Lombardia:

Provincia

Suolo consumato annuo, ettari/anno (1999-2004)

Indice di consumo di suolo,

% suolo consumato annuo/ superficie provinciale

Consumo annuo pro capite

m2 / ab * anno

Varese

312

0,26

4,0

Como

243

0,20

4,0

Lecco

149

0,18

5,0

Sondrio

123

0,04

7,0

Milano e Monza

893

0,45

2,4

Bergamo

634

0,23

6,5

Brescia

929

0,19

8,0

Pavia

544

0,18

11,0

Lodi

219

0,28

11,0

Cremona

289

0,16

8,6

Mantova

616

0,26

16,0

LOMBARDIA

4950

0,20

5,5

Fonte: elaborazioni Legambiente – DIAP Politecnico, su dati ARPA Lombardia riferiti al periodo 1999-2004. La popolazione di riferimento è desunta dal censimento ISTAT 2001

lunedì 17 marzo 2008

Il Nimby batte dove l´informazione duole

"I comitati che si battono contro la realizzazione delle opere pubbliche come autostrade, inceneritori, discariche,.... sono il vero problema dell'Italia" Walter Veltroni

Domanda per il candidato premier del PD:
Non sarà che 194 casi di sindrome NIMBY in Italia dipendono dalla pessima comunicazione di politici e amministratori pubblici? Da progetti folli, spesso devastanti per il territorio? Dall'assenza di qualsiasi forma di partecipazione pubblica alle decisioni?

Da Greenreport
di Diego Barsotti


LIVORNO. Come ogni anno l’associazione Nimby forum ha presentato i risultati dell’analisi del fenomeno Nimby (atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sui territori in cui verranno costruite) così come viene presentata attraverso i media cartacei.

Il dato più immediato che emerge dall’analisi dell’Osservatorio Nimby Forum 2007 è che il fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali riscuote un crescente interesse da parte dei media italiani, facendo riscontrare un progressivo aumento degli articoli censiti che nel corso della III edizione hanno raggiunto quota 4.116 (l’anno scorso erano 4020), e del numero di impianti contestati, ben 193 (nel 2006 furono 171).

E qui va subito sottolineato che in realtà le osservazioni del Nimby Forum si basano su un’evidenza oggettiva fornita dall’analisi del mezzo stampa, questo vuol dire che gli impianti classificati come contestati sono solo quelli che quotidiani, periodici, ecc. riportano come oggetto di contestazioni territoriali. Il che significa che comunque c’è una bella differenza fra il riverbero mediatico e la dimensione/numero delle contestazioni.

La capacità da parte dei media di informare quanto meno con terminologia corretta sulle singole questioni, è poi tutt’altro che sufficiente, anche perché come evidenziato più volte, nei giornali esistono sempre più tuttologi costretti a conoscere (inevitabilmente poco) le tematiche più disparate, e mentre esiste il cronista sportivo, quello politico, il giurista e il nerista, non esiste il giornalista esperto di ambiente, tanto meno è presente nelle redazioni locali.

Eppure è proprio questa una caratterista della sindrome Nimby: il fatto di partire sempre da situazioni locali: nel 70,9 % dei casi l’opposizione è legata a uno specifico impianto, segnando una netta crescita rispetto allo stesso dato della scorsa edizione (53,3%). Nel 9,1 % dei casi la contestazione riguarda un intero comparto produttivo o una determinata tipologia di impianto. Circa il 16% del campione invece attacca sia la tipologia di impianti, sia uno specifico progetto.

E guarda caso i media locali tendono a raccogliere le voci più alte che solitamente sono quelle dei comitati: per il 62% riportano posizioni negative e la voce solo di alcune delle parti in gioco (nel 39,4% sono presenti le dichiarazioni di amministratori pubblici locali e nel 24,3% di comitati di cittadini e solo per il 5,2% dell’azienda costruttrice). Anche perché solo alcune parti in gioco si pongono il problema di comunicare e fra queste quasi mai c´è l´impresa.

Ovvio che non è e non può essere solo colpa dei media, visto che da parte delle aziende la tendenza è quella di assumere la strategia comunicativa più sbagliata, ovvero nascondere la cosa il più a lungo possibile e poi durante la tempesta tenere la testa sotto la sabbia in attesa che la situazione si calmi.

Infine vale la pena di sottolineare un piccolo particolare che riguarda la Toscana , dove risulta il più alto rapporto tra impianti contestati e articoli di giornale riferiti alle contestazioni stesse: per dare un termine di paragone, in Toscana a fronte di 22 impianti nimbyzzati si sono avuti 734 articoli di giornale, in Lombardia i 28 impianti contestati hanno raccolto “solo” 396 articoli. Da una parte potrebbe voler dire che in questa Regione l’attenzione ai temi ambientali da parte dell’opinione pubblica è più alta che altrove (e questo in ogni caso potrebbe essere letto come una cosa positiva), dall’altra però significa proprio che i media funzionano non tanto come informazione ma come cassa di risonanza. E dove si "suona" di più, è ovvio che c´è maggiore......"risuonanza".

«C’è bisogno di un ritorno del senso di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti – scrivono dal Nimby Forum - una visione del futuro che porti a una programmazione di sviluppo nel lungo termine. Per fare questo l’Italia deve ritrovare il senso del bene comune, cercare un rinnovamento delle procedure democratiche nella convinzione che tutela del territorio e sviluppo possono e devono convivere, per riuscire ad andare oltre il giardino».

Ma questo assomiglia molto alla "mozione degli affetti" che non è minimamente in grado di scalfire il cortocircuito fra informazione-partecipazione-decisione. Queste tre componenti (ed agite tutte e tre contemporaneamente) insieme all´assunzione del criterio della sostenibilità come prisma, sono le leve determinanti attraverso le quali è possibile garantire decisioni, tempi e consenso necessario. Poi, come abbiamo detto più volte, un´area di dissenso rimarrà sempre (ed è bene che sia così!) ma.....come è del tutto evidente e scontato, il problema dei decision maker di oggi non è quello di soffrire il consenso, bensì quello di non sopportare il dissenso.

sabato 15 marzo 2008

Pavia, quale futuro per la più grande area dismessa? La proposta di Legambiente


Visualizzazione ingrandita della mappa

L'area dell'ex SNIA Viscosa è la più ampia della città e la più discussa. Dal caso ROM di questa estate, alla costosa e sempre rimandata bonifica dei terreni, ai giri di valzer della proprietà con grandi (Zunino) e piccoli attori.


Legambiente circolo di Pavia - Autore Giovanna Vanelli

SNIA: UNA SFIDA DI INNOVAZIONE

Il recupero dell’area Snia è una delle priorità per Pavia e uno dei più rilevanti interventi sulle aree ex-industriali della città, per questo si deve progettare con lo sguardo rivolto al futuro.

Come Legambiente ha sempre sostenuto, preliminare a ogni ipotesi doveva essere lo studio delle condizioni del suolo per verificare lo stato di inquinamento. Ora che lo studio è stato completato, il quadro è chiaro: alla Snia ci sono aree a diverso grado di contaminazione: vi è principalmente un’area in cui si concentrano i residui dei materiali di lavorazione, una che va bonificata con interventi mirati a garantire la sicurezza del terreno e delle falde idriche e una sulla quale non si costruirà e che sarà da recuperare prevalentemente a verde. Altri interventi su zone più circoscritte dovranno garantire la sicurezza a tutto l’insediamento.

L’intervento sulla restante parte dell’area rimane ancora una sfida aperta, in cui tenere conto dei legittimi interessi del privato ma non meno della necessità pubblica di qualificare in modo del tutto innovativo una così vasta area di intervento. Data la dimensione il recupero della Snia non riguarda il solo quartiere di Pavia Est, ma l’intera città.

La SNIA costituisce, per dimensione e localizzazione strategica, una delle occasioni urbanistiche più significative per Pavia, e non può pertanto essere trattata a parte, disgiunta dal percorso di sviluppo del nuovo Piano di Governo del Territorio (PGT) che la Giunta comunale ha avviato in questi mesi.

La SNIA e le altre grandi aree dismesse devono svolgere un effetto di traino per il futuro della città. I problemi di degrado che accompagnano tali aree costituiscono certamente per i quartieri dove sono collocate una emergenza ambientale e sociale da affrontare al più presto. Affrontiamole dunque, ma non dimentichiamoci anche che queste aree sono patrimonio del complesso della cittadinanza e non solo del privato che ne è proprietario. Non dimentichiamo comunque che i proprietari stessi ricaverebbero un beneficio dalla migliore qualificazione del contesto urbano in cui tali aree sono collocate.

Non si può perdere un’occasione unica per la città. Con le risorse economiche ed intellettuali che queste aree possono attivare, si innescherebbero processi di cambiamento che interesserebbero tutto il tessuto urbano. Viceversa, senza risorse per l’attuazione, il nuovo PGT rischia di rimanere un elenco di sogni non realizzabili.

Bisogna cercare di volare alto. Gli interventi in queste aree devono essere esemplari per l’elevata qualità ed innovazione, per esempio nel campo energetico, ma non solo, coinvolgendo i saperi e i centri di ricerca di cui l’Università pavese è dotata. Con le risorse attivabili si può trovare la spinta necessaria per realizzare quegli interventi e servizi di interesse pubblico e generale che costituiscono la struttura ed il senso vero di un nuovo piano per la città.

Il progetto della SNIA, al di là delle considerazioni specifiche sui contenuti, è carente proprio nel raccordo con il resto della città, e con il percorso di PGT che si sta avviando. Non guarda oltre i confini del lotto, e non riesce quindi a tenere conto degli effetti e dei condizionamenti sul resto del tessuto urbano. Si prevedono una serie di funzioni, commerciali e terziarie, ad elevato afflusso di utenti, oltre alla scuola e circa 1.000 abitanti. Occorre preoccuparsi di come questo influirà sulla mobilità, sulla congestione viaria dell’intera zona est della città, ma anche sull’inquinamento atmosferico.

Ragionare in termini di efficienza energetica non significa solo progettare e costruire edifici meno energivori, significa anche impostare il sistema urbano in modo che sia più efficiente e consumi meno, per esempio spostando una parte della mobilità sui mezzi pubblici e/o sulla rotaia. Non è solo una questione di inquinamento atmosferico (ma anche se fosse solo per questo sarebbe una ragione più che sufficiente), ma è anche una questione di competitività del territorio pavese.

Un intervento delle dimensioni della SNIA rappresenta occasione unica per mettere finalmente in campo una riflessione di ampio respiro sulla mobilità cittadina, senza limitarsi solo alle strade, ma imparando a mettere a sistema tutte le modalità di trasporto ed evitando di considerarle disgiunte dagli sviluppi insediativi. Si dovrà guardare, oltre che alle strade, alle linee di trasporto pubblico, alla rete ciclabile e ….. perchè no ?! ... a quel progetto di collegamento metropolitano su ferrovia che era stato avanzato, supportato da seri studi alcuni anni fa e forse frettolosamente accantonato.

Oggi ci sono novità che inducono a riprendere in considerazione quel progetto. Tra pochi mesi termineranno i lavori di raddoppio della stazione di Rogoredo, e il passante milanese sarà finalmente collegato con la Milano-Pavia. Avremo treni che dalla stazione di Pavia entreranno nel passante interscambiando con le tre linee della metropolitana alle stazioni di Porta Venezia, Piazza Repubblica e Stazione Garibaldi. Le ferrovie hanno in programma l’aggiunta di un terzo e un quarto binario tra Rogoredo e Pavia, per utilizzare al meglio il potenziamento del sistema con l’apertura del passante.

La ferrovia Pavia-Casalpusterlengo è interessata da investimenti delle ferrovie per potenziarla al fine di aumentare i transiti di convogli, essendo stata inserita come tratta strategica nella maglia di collegamenti merci della Lombardia. Già oggi si può constatare che sulla linea passano più treni merci. Con questi miglioramenti, e qualche aggiunta, si potrebbe pensare di introdurre un valido servizio metropolitano cadenzato, che colleghi la zona est con la stazione di Pavia. Inoltre, tramite connessione verso nord (con un breve tunnel e utilizzando il passaggio attraverso lo scalo merci oggi dismesso), si potrebbero instradare i treni direttamente verso il passante ferroviario milanese.

La creazione di parcheggi accanto alle fermate, e soprattutto di una rete di piste ciclabili convergenti sulle fermate, permetterebbe di ampliare il bacino di captazione del servizio metropolitano, con evidenti benefici per la congestione viabilistica della zona est e con un alleggerimento della congestione sulla attuale stazione ferroviaria e su tutta la zona della Minerva e della Statale dei Giovi ed anche con un incremento di valore per tutti gli interventi insediativi che si andranno ad attestare nella zona ad est lungo la direttrice ferroviaria, SNIA compresa.

Andando oltre si potrebbe anche immaginare in futuro di prolungare il servizio metropolitano verso altri comuni, per esempio verso Belgioioso dal lato est, intercettando con parcheggi di interscambio il traffico che entra a Pavia. Dall’altro lato si potrebbe addirittura immaginare di prolungare il servizio metropolitano oltre la stazione di Pavia, verso sud, per esempio fino alla stazione di Cava Manara, intercettando il traffico che entra a Pavia da sud.

Le scelte di mobilità dentro e intorno alla Snia rappresentano un altro problema aperto. La strada cosiddetta “di gronda” dovrà essere una strada di accesso all’area e non certo un’arteria di scorrimento che finisca per attirare traffico dall’esterno; va cioè progettata con criteri tecnici di moderazione della velocità e di priorità da dare ai pedoni. Anche in vista di un possibile recupero della ferrovia al trasporto cittadino, va reso competitivo lo spostamento ciclabile e pedonale a breve raggio.

Qualcuno può definire queste proposte solo delle suggestioni, noi riteniamo invece che sia necessario sviluppare approfondimenti di fattibilità, perchè avviare un discorso oggi, con l’occasione della SNIA, delle aree dismesse e del percorso per il nuovo piano comunale generale (il PGT), potrebbe portare domani ad un sistema urbano più efficiente, in termini energetici, ma anche più competitivo, meno congestionato e meno inquinato e quindi più vivibile.

In particolare, Legambiente ritiene non sufficiente che gli oneri di urbanizzazione vengano destinati esclusivamente alla costruzione di una scuola e alla strada di gronda. Gli oneri dovrebbero invece essere anche utilizzati proprio nella direzione di costruire case di qualità, ad alto coefficiente energetico senza scaricare i costi sugli acquirenti finali e l’edificio scolastico potrebbe rappresentare il primo intervento in cui applicare tecnologie innovative di risparmio e produzione energetica, proprio per le particolari esigenze di una scuola e perché destinato a durare nel tempo.

Troppo spesso invece la recente edificazione a Pavia ha proposto e sta proponendo palazzine anonime realizzate con materiali di non elevata qualità, case prive di identità e dispendiose energeticamente. Così la città perderà attrattiva e qualità e questa ci sembra una scelta miope anche economicamente. Quando infatti a breve la domanda dell’edilizia non di qualità sarà satura, l’offerta di case di qualità, anche energetica, potrebbe diventare concorrenziale e muovere un mercato asfittico e artatamente bloccato su prezzi illogicamente alti.

In generale, l’opportunità offerta da un’area come questa è quella di un intervento omogeneo e coordinato, con evidenti economie di scala. Pochi esempi: è necessario che si progetti la doppia rete idrica, con separazione degli usi civili dagli usi sanitari, cui verrebbe riservata l’acqua potabile; sarebbe semplice e facilmente ammortizzabile realizzare una rete di riscaldamento e produzione energia con pompe di calore unite a cogenerazione, pannelli solari fotovoltaici e termici.

giovedì 13 marzo 2008

Dall'Olanda un no ai biocarburanti: UE, non sono sostenibili

Da Mondoelettrico

Uno studio commissionato dalla UE e redatto da The Netherlands Environmental Assessment Agency (MNP, Milieu en Natuur Planbureau) conclude che non è stata una buona idea quella di porre l'biettivo del 2020 per rimpiazzare il 10% dei carburanti derivati dal petrolio ad uso trasportistico con i bio-fuel non essendo questi un 'BUON INVESTIMENTO PER LA SOSTENIBILITA'. Stop ai contributi.

Current biofuels do not add to the sustainability of transport
Press release; 4 March 2008
The climate has more to gain from converting biomass into electricity, than to use it to replace petrol or diesel. Therefore, proposals to replace current transport fuels by biofuels are not the best investment in sustainability. This is shown in the report " Local and global consequences of the EU renewable directive for biofuels: testing the sustainability criteria" by the Netherlands Environmental Assessment Agency. The findings from this study will be presented to the European Parliament, today.


biofuels do not add to the sustainability of transport


Il documento in formato PDF di 952kb è Q U I

Mattanza di un ecosistema

Dall'Espresso del 14 marzo 2008
L'inarrestabile processo di distruzione del substrato che ci ospita continua, ultima follia della nostra specie. Forse si parla più spesso di aria, o di terra, questa volta è il turno delle brutte notizie sull'acqua, fiumi e falde lombardi sono in pessimo stato.


Acqua velenosa

di Emiliano Fittipaldi
Nel fiume Ticino è allarme cadmio, cromo, ammoniaca, azoto. In dosi fuori limite. E altri inquinanti nei bacini idrici in provincia di Milano e Pavia. Scoperti dal Corpo forestale.
Il depuratore di Nosedo (foto Prospekt)
Nel 1997 i Mondiali di Pesca all'oro hanno fatto tappa nel Ticino. Gli organizzatori sono andati a colpo sicuro: le preziose pagliuzze scendono dalle Alpi dalla notte dei tempi, e le gesta dei cercatori (migliaia di schiavi assoldati dall'Impero romano, in verità) le ha già raccontate Plinio il Vecchio. Oggi una nuova corsa è inimmaginabile: si calcola che il fiume trasporti ogni giorno micro-pepite per un valore oscillante tra i 5 mila e i 10 mila euro, poca cosa. Ma di sicuro, se si organizzasse una nuova tappa del campionato, oggi nelle padelle non finirebbe il nobile metallo giallo, ma perniciosissimi (e invisibili) metalli pesanti. Che, in aggiunta a decine di altre sostanze tossiche, formano un menù killer per la flora e la fauna dell'ecosistema. Cadmio, azoto ammoniacale e cromo esavalente sono solo alcuni degli inquinanti ritrovati in quantità superiori ai limiti dai tecnici del Corpo forestale dello Stato, che hanno messo sotto osservazione la parte di fiume vicino Morimondo. Un comune ridente, al di là del nome, e famoso per i suoi prodotti biologici: siamo all'interno del Parco della Valle del Ticino, annoverata dall'Unesco tra i patrimoni dell'umanità.

"Mancanza di depuratori, scarichi urbani, agricoli e industriali hanno messo in serio pericolo la salute delle acque. E chi si fa il bagno nel fiume lo fa a suo rischio e pericolo", dice Elisabetta Morgante, vice-questore aggiunto della polizia scientifica ambientale. Non solo ignari canoisti e pescatori e altri habitué del Ticino, ma anche chi va nelle toilette di alcune fabbriche di Abbiategrasso, senza saperlo, mette a rischio la propria incolumità. A pochi chilometri da Milano, infatti, gli agenti del Corpo hanno scoperto che l'acqua che esce dai rubinetti di alcune fabbriche di un grosso insediamento industriale (circa 20 fabbricati in periferia) è avvelenata. Dipendenti, operai e dirigenti si lavano con il cadmio, il nichel e il piombo, metalli trovati sia nelle condutture dei bagni sia nelle fognature del quartiere. Anche in provincia di Pavia, ad Albuzzano, le indagini del laboratorio mobile hanno scoperto situazioni al limite. Le acque nere di un nuovo complesso residenziale del paese finiscono dritte dritte nei canali di irrigazione dei campi. A parte il tanfo, fastidioso ma innocuo, l'acqua corretta a fenolo e nichel penetra nel terreno dove si coltivano foraggio e cereali. Mais e grano che si trasformano in pane e pasta.

Chi crede che la Lombardia, la zona più ricca e sviluppata d'Italia, sia immune dagli effetti dell'inquinamento selvaggio e dell'antropizzazione sbaglia di grosso. I fiumi della regione sono molto sporchi: secondo gli ultimi dati resi noti dell'Agenzia di protezione dell'ambiente il 32 per cento dei corsi d'acqua è 'scarso' o 'pessimo', e le falde primarie, quelle più in superficie, sono praticamente compromesse. Come la Lombardia, anche il resto della Pianura Padana conserva nel sottosuolo nitrati, metalli e pesticidi in quantità massicce. "Si pensa agli effetti della diossina a Napoli e alle falde acquifere del Sud, ma anche qui abbiamo seri problemi", spiega Damiano Di Simine, presidente regionale di Legambiente: "Dieci milioni di abitanti, sette milioni tra suini e bovini, insediamenti zootecnici e industriali hanno un impatto pesante. Se il Seveso e l'Olona non viaggiano dentro zone agricole, l'inquinatissimo Lambro viene usato tuttora per irrigare i campi. Una bomba biologica". Nel Bresciano le industrie di fucili e chiodi della Val Trompia scaricano nel fiume Mella, che bagna filari di ortaggi e frumento. Un corso che ha sparpagliato la diossina prodotta dalla Caffaro di Brescia per mezza provincia.

La Lombardia è in ottima compagnia. I dati Apat disegnano un quadro a tinte fosche di tutte le acque tricolori. Quella potabile è in genere di ottima qualità, ma le riserve blu del sottosuolo e i corsi in superficie sono, in parte, contaminati, come mostrano la tabellla qui a fianco, e come spieghiamo nel dettaglio nell'articolo di pagina 53. Con un trend decisamente negativo: rispetto al 2003, l'acqua delle falde inquinata per mano dell'uomo passa dal 21,5 al 28 per cento, mentre il liquido di classe 1 e 2, il più pregiato, diminuisce di tre punti.
(13 marzo 2008)


lunedì 10 marzo 2008

Zinasco e Rivalta Scrivia: sono troppi 2 impianti per l'agroenergia nel sud ovest padano. Lo dicono anche gli agricoltori

I carburanti ricavati dai vegetali sono sempre di più sotto osservazione. I dubbi riguardano:
l'effettiva minore emissione di gas serra, la "concorrenza" con le produzioni destinate all'alimentazione umana e animale e il conseguente aumento dei prezzi di queste ultime, la pressione sui suoli naturali con annesse deforestazioni.
Scontiamo una moda nata qualche anno fa, quando l'agroenergia sembrava una ricetta buona comunque e dovunque. Ora c'è chi parla di crimini contro l'umanità in relazione ai biocarburanti (Jean Ziegler, ONU), una cosa è ricavare energia dagli scarti delle produzioni agricole, un'altra è coltivare ad hoc. Una cosa è importare olio di palma dalle nazioni che stanno distruggendo il loro patrimonio forestale per questo, facendo viaggiare per migliaia di chilometri la materia prima, un'altra è dimensionare gli impianti sulle caratteristiche locali (per qualità e quantità della biomassa).

Nel sud ovest padano, a Rivalta Scrivia (Tortona) e a Zinasco (Pava), meno di 50 km in linea d'aria, 2 impianti per la produzione di etanolo sono in fase di progettazione. L'impianto di Rivalta avrebbe bisogno di 200 mila ettari coltivati a cereali, quello di Zinasco 50 mila, ma la disponibilità di ettari nel bacino di riferimento è enormemente inferiore, meno di un decimo. Anche in questo caso l'assenza di pianificazione genera mostri.

Dell'impianto di Zinasco (qui una scheda di Legambiente) ci eravamo già occupati per lo spreco di suolo connesso all'operazione: l'impianto di bioetanolo "sostituisce" infatti uno zuccherificio, ma invece che utilizzare l'area dismessa di Casei Gerola (area destinata a diventare un outlet) sacrifica ottimo suolo agricolo a Zinasco.
Italia Zuccheri, regista dell'operazione e proprietaria dell'area, usufruisce di ingenti finaziamenti, italiani ed europei (per la bonifica dell'area dismessa, per la costruzione del nuovo impianto, per la sua gestione). Sarebbe così strano pretendere che i progetti foraggiati dai nostri soldi fossero un po' più "virtuosi"?

Un convegno a Salice Terme ha messo a confronto esperti e agricoltori.


Dalla Provincia Pavese del 9 marzo.

«Due impianti? Non basta la produzione»

I cereali locali dovrebbero rifornire le aziende di Zinasco e Tortona

VOGHERA. «Due impianti per produrre bioetanolo tra Oltrepo e basso Piemonte? Ad oggi sono troppi...». Gianluigi Stringa, ex presidente dell’Unione agricoltori allarga le braccia ma lancia nello stagno dell’economia un sasso di discrete proporzioni. A fornire i dati sulla produzione di energia rinnovabili in provincia è l’assessore all’ambiente Ruggero Invernizzi: «3 megawatt alimentati a biogas, 43 megawatt alimentati ad oli vegetali, 20 megawatta alimentati a miomasse solide». «Ma non tutti gli impianti - aggiunge - sono alimentati da materia prima prodotta in loco». A questo si riferisce Stringa. «La Oxem di Mezzana Bigli produce biodiesel da oleaginose - spiega -. Gli impianti per la produzione di bioetanolo di Tortona e Zinasco produrranno bioetanolo da cereali. Almeno fino a quando la tecnologia non consentirà di utilizzare anche la cellulosa...». Il punto è qui: solo per far funzionare l’impianto di Tortona servono 200mila tonnellate l’anno di cereali: la produzione, ai livelli attuali, di 200mila ettari. Una quantità impensabile per l’Oltrepo e il basso Piemonte. Il problema è doppio: in primo luogo, secondo Stringa, gli ettari coltivabili non basterebbero ad alimentare due impianti per il bioetanolo; e in secondo luogo, la corsa all’acquisto di cereali per produrre carburante falserebbe i prezzi di mercato. La via d’uscita? Stringa è in pieno accordo con Radice Fossati: la sfida è raggiungere in tempi rapidi una tecnologia che consenta di utilizzare la cellulosa per produrre bioetanolo. Utilizzare gli scarti per produrre energia liberano spazio per le produzioni alimentari». (s. ro.)


Carburante dai campi, la sfida dell’Oltrepo

Esperti e agricoltori a convegno a Salice Terme «Possiamo avere il primo distretto energetico»

La proposta del futuro: coinvolgere l’industria senza rubare spazio alla filiera alimentare SALICE. Un distretto energetico in Oltrepo, il primo in Italia, per rilanciare l’agricoltura, far riprendere l’industria, tutelare l’ambiente. Tutto insieme? Forse. Tutto subito? Entro quattro o cinque anni. La ricetta arriva dal convegno sull’energia da fonti rinnovabili agricole organizzato all’hotel President di Salice dal consorzio «Agroenergia» con le associazioni di categoria. La ricetta si riassume in tre righe: imparare dal passato, anticipare l’innovazione, programmare il futuro.
La sfida, come la riassume l’ex presidente dell’Unione agricoltori Federico Radice Fossati, è produrre energia utilizzando materie prime agricole senza rubare spazio e risorse alle produzioni per l’alimentazione.
Imparare dal passato. Lanciando l’allarme sulla difficoltà di trovare “cervelli” disposti a lavorare sul territorio, la settimana scorsa, il portavoce degli industriali d’Oltrepo Bruno Calzolai ricordava che «L’industria è cresciuta quando ha collaborato con l’agricoltura, settore a cui l’Olrepo è tradizionalmente vocato». Due esempi per tutti: lo zuccherificio e le aziende conserviere che hanno fatto la fortuna economifca del territorio. Ora, però, lo zuccherificio è chiuso e il settore della trasformazione alimentare non “tira” più come un tempo.
Anticipare l’innovazione. E’ ancora possibile far lavorare insieme agricoltura è industria? «Non è solo possibile - risponde secco Federico Radice Fossati -. Oggi più che mai è necessario lavorare in questa direzione. L’agroenergia, ovvero la produzione di energia compatibile con l’ambiente da fonti rinnovabili agricole, è la strada da seguire per dare reddito alle aziende, creare nuove industrie, tutelare il territorio e l’ambiente». I critici, però, dicono che oggi l’energia prodotta da fonti rinnovabili costa molto più di quella “tradizionale”. «E’ un settore in profonda trasformazione - ribatte Radice Fossati -. Sarebbe un errore puntare su un solo podotto come materia prima per produrre energia. Oggi si produce biodiesel dalle oleaginose come colza, girasole e soia e bioetanolo dai cereali. Entro pochi anni, quattro o cinque secondo gli esperti, il bioetanolo si potrà produrre dalla cellulosa: legno, certo, ma anche paglia e scarti del mais. Materia che oggi si butta. A breve si scatenerà una rivoluzione: quelli che oggi sono rifiuti diventeranno materia prima per produrre carburante ed energia. Crescerà la produttività dell’industria e sarà necessario utilizzare meno terreno per produrre la materia prima. Ci sarà spazio sia per la produzione destinata al mercato alimentare che per quella destinata al mercato energetico».
Programmare il futuro. Ottimizzare le risorse e risparmiare territorio: la sfida passa di qui. Produrre energia da fonti rinnovabili che costi meno di quella da fonti tradizionali (ed oggi molto spesso non è così), ed utilizzare meno risorse naturali possible. Come fare? «Si tratta di far lavorare insieme agricoltura, industrria e ricerca universitaria e pubblica - risponde Radice Fossati -. Mobilitare tutto il territorio per arrivare ad una svolta che potrebbe mettere l’Oltrepo in una posizione di avanguardia».

domenica 9 marzo 2008

Una public company per una nuova testata "libera"? Si cercano finanziatori.

Qui la dichiarazione di intenti, con raccolta delle pre adesioni, cioè l'impegno a versare una quota di 100 euro (o più) se l'esperimento partirà. Con il rilancio del blog di Beppe Grillo in tre giorni sono arrivate oltre 1.000 adesioni. La "campagna di impegno" durerà tre mesi dopodichè, se ci saranno le condizioni (soprattutto economiche), partirà la fase sperimentale di 18 mesi.

Ecco il cronoprogramma del progetto "Canale Zero" e i primi firmatari.

Le tappe:

Stiamo definendo una redazione giornalistica che lavorerà a tempo pieno, e i cui componenti avranno un contratto di collaborazione regolare per l'intera durata iniziale del progetto: 18 mesi .

La redazione avrà un direttore, nominato da questo collettivo e da un ampio gruppo di sostenitori, con analoga, elevata professionalità. E che non avrà altri vincoli che quelli di una corretta deontologia professionale e quelli dettati da un semplice documento d'intenti comprendente questi punti:

1) Difesa della Costituzione e della legalità democratica.
2) No a ogni guerra.
3) Difesa dei diritti sociali e civili dei cittadini.
4) Difesa dell'ambiente e del territorio.
5) Difesa della laicità dello stato.

Prevediamo di definire, in base a una ampia consultazione, un comitato di garanti, super partes, scelti tra le personalità democratiche che godono della fiducia generale per le loro qualità professionali, culturali, scientifiche, di azione sociale. Il loro compito sarà di verificare che queste impostazioni ideali siano rispettate. A tal proposito vi chiediamo sin d'ora di esprimere il nome di una persona che, secondo voi, possa assicurare l'applicazione dei principi di cui sopra.

L'indipendenza degli operatori sarà totalmente garantita. Ogni fase della costruzione del progetto sarà resa pubblica nel più totale rispetto della trasparenza, attraverso strumenti di verifica diretta dei suoi finanziatori. In primo luogo attraverso la Rete, ma anche con una articolazione di comitati e di assemblee nei territori.

Primi firmatari:

Giulietto Chiesa, don Aldo Benevelli, Anna Maria Bianchi, Caparezza, Sergio Cararo, Franco Cardini, Paolo Ciofi, Tana de Zulueta, Arturo Di Corinto, Laura Di Lucia Coletti, Claudio Fracassi, Luciano Gallino, don Andrea Gallo, Udo Gumpel, Sabina Guzzanti, Serge Latouche, Lucio Manisco, Gianni Minà, Roberto Morrione, Diego Novelli, Moni Ovadia, Riccardo Petrella, Carlo Petrini, Lidia Ravera, Ennio Remondino, David Riondino, Roberto Savio, Antonio Tabucchi, Gianni Vattimo, Vauro, Elio Veltri, Dario Vergassola, Alex Zanotelli

venerdì 7 marzo 2008

Il Parco del Ticino ha già dato

Da VareseNews i numeri della Malpensa-Boffalora una superstrada nel parco del Ticino.
(qui invece gli altri numeri, quelli dei costi sociali ed econominci)


Lonate Pozzolo
- Ultimati quasi al cento per cento i lavori sui diciotto chilometri e seicento metri del tracciato
I numeri della nuova superstrada

Diciotto chilometri e seicento metri d'asfalto, circa 11 km di viabilità secondaria, otto svincoli, una variante per Vanzaghello da connettere alla SS 341 Gallaratese (che a sua volta sarà oggetto in futuro di un raddoppio funzionale, con collegamento a SS 336 e Pedemontana). E ancora 16 gallerie artificiali presso svincoli o zone boschive da preservare - l'opera corre nel territorio del Parco Ticino, già aggredito da Malpensa - due viadotti e 16 sottopassi realizzati per mantenere la viabilità locale. Il tutto per un investimento di 208 milioni di euro interamente coperti da Anas. Questi i numeri della Malpensa-Boffalora, superstrada ormai vicinissima al sospirato completamento, dopo una complessa vicenda costruttiva trascinatasi per quasi quattro anni. I lavori erano stati consegnati formlalmente il 20 aprile 2004, ma due sospensive del TAR Lombardia in relazione ad un terreno demaniale in uso alla Difesa e ad un collettore fognario avevano fatto slittare la consegna definitiva al 17 giugno 2005. Successive varianti di progetto hanno poi risolto i problemi incontrati, senza aggravio di costi ma con ulteriore inevitabile perdita di tempo.

Il direttore Centrale delle Nuove Costruzioni dell’Anas, ingegner Gavino Coratza, presente oggi al sopralluogo condotto dall’assessore regionale Cattaneo e dal capo del compartimento viabilità per la Lombardia Mucilli, ribadisce che a questo punto “le opere principali sono state praticamente ultimate dall’Anas". Sono in corso il completamento del tappeto d’usura drenante, della segnaletica e delle barriere metalliche, la verniciatura delle gallerie artificiali, nonché le prove funzionali degli impianti di illuminazione.

Il tracciato parte da dove termina l'attuale SS336, all'altezza della rotonda d'accesso dalla SS527 Bustese in territorio di Lonate Pozzolo, e attraversando i boschi sfiora Sant'Antonino Ticino per poi contornare Castano Primo, toccando quindi Buscate, Cuggiono, Inveruno e Mesero. L'ultima opera è il viadotto che scavalca l'A4 Milano-Torino presso il casello di Marcallo-Mesero (già Boffalora) e la costruenda linea ferroviaria ad alta velocità, quindi la superstrada raggiunge la Padana Superiore in territorio di Magenta.

Anas sottolinea il ruolo fondamentale della Malpensa-Boffalora sia per l’aeroporto, "che vedrà velocizzati i collegamenti con molte zone della Lombardia e del Piemonte (in particolare Novara e Torino)", sia per i cittadini e le imprese del territorio. L’arteria consentirà di realizzare un collegamento alternativo tra Milano e l’aeroporto, alleggerendo il traffico sull’Autostrada A8 dei Laghi, attualmente l’unica via di accesso a Malpensa per chi proviene dal capoluogo." Il rispetto dei tempi di completamento delle opere e l’entrata in esercizio del collegamento entro il 31 marzo 2008" si rimarca nel comunicato di Anas "sono stati assicurati grazie all’impegno dell’Anas nella Direzione dei lavori e nel monitoraggio dei tempi, alla determinazione dell’impresa (Adanti, ndr) e all’efficace azione di coordinamento svolta dalla Regione Lombardia con gli enti gestori delle interferenze”.


Qui invece


giovedì 6 marzo 2008

E Boni cadde per la seconda volta

A valle della chiusura della seconda puntata della vicenda Boni/ammazzaprchi (ma Boni ne ha già promesso una terza) diamo uno sguardo al campo di battaglia, e agli eserciti che si sono fronteggiati: l'armata brancaleon-ambientalista da una parte e la macchina da guerra arraffatutto di Formigoni e soci dall'altra.

Discreto rilievo sulla stampa, le tante iniziative sono servite a tenere alta l'attenzione ma l'ingranaggio si è inceppato e l'emendmento è stato ritirato, per un "cedimento" nella maggioranza, la Lega Nord pare infatti abbia dato segnali (dall'alto? dal basso?) di un certo malessere di fronte alla leggerezza con cui si mandava in pensione un sistema di tutela del territorio che tutto sommato aveva funzionato per oltre un trentennio.

Qui rassegna e commenti sulla seconda ritirata dell'assessore più discusso del momento.

Pare inoltre che tutta questa pubblicità non sia piaciuta in vista delle elezioni di Aprile, non è bello alzare una coltre di ostilità intorno a sè, passando per turpe cemetificatore , e trascinare inevitabilmente, nel danno di immagine, i colleghi della maggioranza di centrodestra.
Proprio a un passo dalle urne. Ma non lo sa assessore che sono proprio le settimane che precedono le elezioni quelle in cui bisogna raccontare qualche balla per far contenti tutti?
C'è tempo dopo per i giochi di prestigio. E poi ci stanno osservando per l'expo'... mentre la sciura Moratti fa proclami da neo-ecologista e parla di una expo' incentrata sull'ambiente, lei se ne esce con le semplificazioni per costruire nei parchi?

mercoledì 5 marzo 2008

Sono nati i bruchi resistenti agli Ogm

Da Blogeko (8 febbraio 2008)

Doveva capitare, prima o poi. Ed infatti è capitato: i parassiti sono mutati spontaneamente, adattandosi alle modifiche artificiali prodotte dall'uomo sulle piante. Quattro entomologi americani annunciano su Nature Biotechnology che si è formata una popolazione di bruchi in grado di banchettare allegramente sulle piante di cotone Ogm, modificate in laboratorio proprio perchè fossero inattaccabili dagli insetti.

Gli studiosi hanno il coraggio di presentare questo fatto come un successo: fra i tanti parassiti e i tanti luoghi presi in esame solo un gruppo di larve della farfallina Helicoverpa zea ha sviluppato una resistenza alle colture Ogm in grado di trasmettersi ai discendenti come carattere ereditario dominante. L'articolo completo è a sottoscrizione; qui il riassunto gratuito e qui un'intervista in cui gli entomologi dicono fra l'altro che non c'è problema, perchè basta una spruzzata di insetticida per ammazzare anche i superbruchi. Ma allora, dico io, è proprio assolutamente inutile seminare piante Ogm...

martedì 4 marzo 2008

La pianificazione del territorio è capace di parlare alla gente?

Un'interessante analisi di Fabrizio Bottini per Carta.
Il fenomeno Cassinetta di Lugagnano può essere replicato su una scala che non sia quella del piccolo borgo? E rappresenta qualcosa di nuovo dal punto vista della comunicazione? Sullo sfondo il dubbio che il linguaggio della pianificazione territoriale, così specialistico ed astruso, non sia in grado di farsi capire dalla gente.

Cassinetta di Lugagnano [Milano] è uno di quei piccoli borghi padani che sembrano usciti da una cartolina: sul Naviglio Grande, circondata dalle campagne, grazie anche a un piano urbanistico a «crescita zero». Una cartolina che si deve anche, però, al ruolo di tutela giocato sinora dai grandi parchi lombardi. Non è un caso se proprio dal sindaco di questo piccolo comune è nata la proposta di un coordinamento delle forze ambientaliste e progressiste contro la trovata della junta ciellino-leghista che imperversa sulla padania: l’abolizione, di fatto, dei parchi come garanti delle reti ambientali [vedi Carta 41/2007].

E ben venga, una partecipatissima reazione di cittadini, amministrazioni, associazioni, per arginare la deriva suicida-sviluppista nascosta dietro un emendamento «tecnico» alla legge urbanistica già ritirato lo scorso autunno, grazie alla raccolta di un migliaio di firme in pochi giorni: vero record.
Ma sono fortissimi gli interessi per lo «sviluppo del territorio», in quella che certa sociofagia facilona ha ribattezzato la Città Infinita, a evocare mica tanto sottilmente inesauribili frontiere su cui far avanzare la marcia di villette e capannoni. Ma si spera, si spera sempre, che passi fra i cittadini il messaggio di Cassinetta di Lugagnano: sviluppo, qualità della vita, non sono sinonimo di superstrade, scatoloni in precompresso, incombenti luci al neon. C’è anche una trasformazione partecipata, come quella del piano regolatore, con al centro la tutela delle risorse aria, acqua, suolo, della qualità dei vita quotidiana degli abitanti, e perché no anche dello sviluppo, pur nel quadro generale della sostenibilità.

Ma, viene da chiedersi: è davvero proponibile un modello di questo genere, fuori dal presepe vivente dei piccoli borghi dove si praticano piani «esemplari»? O, meglio, è davvero esportabile a scala socioeconomica e territoriale vasta, un’idea di vita almeno in parte alternativa a quella che ci propone sul vassoio la pubblicistica corrente attuale?

Verrebbe da rispondere: certo che si, attraverso appunto gli strumenti della pianificazione territoriale, che servono proprio a questo. Non a caso, il centrodestra da sempre cerca di sabotare dall’interno proprio queste conquiste del secolo scorso, dove anche oltre la mediazione e discrezionalità politica trovano una camera di compensazione varie esigenze, soggetti, culture e prospettive. Ma c’è un dubbio: la pianificazione del territorio è capace di parlare alla gente? Oppure, istituzionalizzata e nascosta dietro le pareti dei propri uffici, usa un linguaggio che suona astruso, iniziatico e tutto sommato estraneo, affidandosi poi in tutto e per tutto a slogan semplicistici e fuorvianti, dalle vaghe «misure d’uomo» alle più recenti e fantasiose declinazioni sul tema della «sostenibilità».

È così che strisciante avanza ridicola la marinettiana Città Infinita, da riempire di chiacchiere e autostrade, per spostarsi poi da un centro congressi all’altro. Forse, dal piccolo borgo di Cassinetta di Lugagnano, può anche partire una nuova strategia di comunicazione.
Ambiente e territorio sono la cosa su cui appoggiamo i piedi. Un po’ sopra, senza soluzione di continuità, c’è la testa.

Parchi salvi. Per ora.

Il Cantico delle Creature di frate Francesco da Assisi. Anno 1266.

Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messer lo frate Sole,
lo qual è iorna, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu et radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sostentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua,
la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba

Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli che 'l sosterranno in pace,
ca da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' scampare:
guai a quelli che morrano ne le peccata mortali;
beati quelli che trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ca la morte secunda no 'l farrà male.


Qui la notizia del ritiro dell'emendamento ammazzaparchi
Qui il comunicato del Coordinamento salva parchi di Cassinetta di Lugagnano
Qui il comunicato congiunto di FAI, Italia Nostra, Legambiente e WWF

lunedì 3 marzo 2008

Quando i parchi fanno pOLITICA, salviamoli i parchi, ma per cambiarli

I parchi di centro-sinistra non vogliono l'ammazzaparchi, quelli di centro destra sì, il parco del Ticino è spaccato in due, con i consiglieri di centro-sinistra che vanno con i parchi di centro sinistra.

Se c'era bisogno della dimostrazione che la politica (con la p minuscola) dove passa fa danni, oggi ne abbiamo una, l'ennesima. Induce un velo di malinconia istituzionale ritrovare un perfetto schieramento per appartenenza politica dei CdA dei parchi di fronte ad una questione cruciale che tocca direttamente sia l'effettiva tutela del territorio sia il futuro degli enti parco.

La questione è la nota vicenda del PDL 207 che contiene l'emendamento Boni, detto appunto "ammazzaparchi" e viene da chiedersi perché i parchi non abbiano fatto fronte comune nemmeno su questo (con un nome del genere... è un po' come se a palazzo Madama passasse l'emendamento "ammazzasenatori").

Ridimensionare il livello di controllo politico sui parchi è il prossimo obbiettivo. Salviamoli i parchi, ma per cambiarli.

Qui il comunicato stampa sottoscritto solo dai parchi di centro sinistra; in calce al post quello di alcuni consiglieri del Parco del Ticino (parco di centro destra) che, meritevolmente ed esponendosi personalmente, prendono posizione e si accodano ai firmatari "rammaricandosi" che la presidente del CdA (Milena Bertani, forzista) non si unisca a loro.



Comunicato stampa dei consiglieri di centro sinistra del CdA del Parco del Ticino.

Moratoria contro la legge regionale sui Parchi: i Consiglieri Duse, Balestreri, Caielli e Sanson esprimono il loro rammarico per la mancata adesione del Parco del Ticino

La Regione Lombardia sta decidendo in questi giorni su alcune norme che interessano da vicino i parchi lombardi. In Consiglio regionale è infatti in corso la discussione di una modifica della legge urbanistica, la 12/2005, che contiene alcuni commi dedicati al rapporto tra Enti Parco e Comuni e a un inedito ruolo riservato alla Giunta regionale.

La nuova norma, infatti, sottrae agli Enti gestori dei Parchi le decisioni sui Piani territoriali, per trasferirle direttamente alla stessa Regione. In commissione Ambiente è inoltre in discussione un progetto di riforma della legge regionale 86/83 sulle aree protette.

Entrambe le norme hanno suscitato la preoccupazione dei Parchi lombardi e delle associazioni ambientaliste, che due settimane fa hanno manifestato la stessa durante un’audizione in Regione.

I Presidenti di 15 Parchi lombardi il 28 febbraio hanno proposto una moratoria nell’iter di approvazione delle norme proposte, al fine di garantire serenità e serietà di fronte a scelte importanti per la tutela dei Parchi e del territorio lombardi.

I sottoscritti, Consiglieri del Parco del Ticino, si associano alla proposta di moratoria dei Presidenti dei Parchi, e si rammaricano che fra i firmatari non vi sia anche la Presidente del Parco del Ticino.

Parco del Ticino che deve essere, come è già stato, in prima fila nella difesa dell’attuale equilibrato assetto di competenze fra Parchi, Comuni e Regione in un territorio continuamente sotto tensione che, per estensione e importanza nella conservazione dell’ecosistema e della biodiversità, rappresenta un patrimonio unico nel suo genere.

Magenta, 3 marzo 2008


Luigi Duse Vice Presidente Parco del Ticino

Marta Balestreri Consigliere di Amministrazione Parco del Ticino

Roberto Caielli Consigliere di Amministrazione Parco del Ticino

Fausto Sanson Consigliere di Amministrazione Parco del Ticino

sabato 1 marzo 2008

I parchi lombardi chiedono la moratoria. Il parco del Ticino brilla per la sua assenza

Richiesta di Moratoria sull’emendamento 13 bis alla L.R. 12/05 e sul PDL recante Norme per l'istituzione e la gestione delle aree protette e la tutela della biodiversità regionale


Gli scriventi sono Presidenti dei Parchi regionali della Lombardia, direttamente interessati dalle recenti e velocissime iniziative legislative regionali che, in parallelo, attraverso modifiche della legge urbanistica regionale 12/05, e attraverso un disegno di riforma della L. R. 86/83, in tema di aree protette, mirano a modificare profondamente l’attuale assetto delle competenze in tema di pianificazione delle aree protette.

In particolare, entrambi i provvedimenti sminuiscono l’azione programmatoria degli Enti gestori dei Parchi: l’emendamento 13 bis prevede la possibilità da parte dei Comuni di richiedere varianti al Piano Territoriale di Coordinamento dei Parchi Regionali che, se respinte dall’Ente gestore del Parco, possono essere sottoposte alla Giunta Regionale per l’approvazione definitiva. Il nuovo PDL prevede, tra l’altro, che i piani dei parchi siano approvati dalla Giunta Regionale e non dal Consiglio Regionale.

Si tratta dunque di una previsione che altera profondamente il rapporto attualmente esistente tra istituzioni, mediante la sostanziale parificazione degli interessi di cui sono portatrici le amministrazioni comunali - e della loro pianificazione territoriale a fini urbanistici – con interessi di cui sono portatori gli enti parco, protagonisti di una pianificazione guidata da esclusive finalità di tutela dell’ecosistema.

Risulta inoltre stravolto il principio di sussidiarietà, con l’aumento del ruolo invasivo della Regione, né si tiene conto delle storie locali che generarono i parchi stessi: è da sventare il rischio di una nuova colonizzazione da parte delle aree metropolitane nei confronti dei cittadini che, con enormi sacrifici e attraverso generazioni hanno difeso la propria terra da un irrazionale sfruttamento delle risorse.

Di queste proposte molto si è detto in queste ultime settimane, con un’eco che ha trovato ampio spazio nella stampa e presso l’opinione pubblica, che ha immediatamente sollevato una serie di perplessità legate alla concomitanza di questo fervore modificatore con i progetti di sviluppo urbano legati all’Expo 2015, la imminente scadenza della legislatura, nonché le incombenti infrastrutturazioni legate ad opere viabilistiche di forte impatto per il territorio lombardo e il suo ecosistema.

I firmatari di questa proposta


fiduciosi nella volontà della Regione di voler tutelare in modo serio un territorio lombardo che più di ogni altro ha sacrificato le risorse ambientali allo sviluppo dell’intera nazione, tenuto conto che il consumo del suolo, già di per sé elevato in regione Lombardia, e soprattutto nell’area metropolitana, è vicino alla soglia di sostenibilità del 55 %, definita dal piano territoriale di coordinamento provinciale, limite oltre cui non è più possibile garantire la rigenerazione ambientale del suolo (si veda cartina);





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alla luce dell’esperienza positiva scaturita da oltre vent’anni di applicazione delle legge regionale in materia di aree protette, che ha visto i Parchi proporsi come veri portatori dello sviluppo sostenibile, e latori di importanti processi condivisi di valorizzazione economica del proprio territorio, pur compatibile con le esigenze di conservazione dell’ecosistema

considerato che siamo alla fine della legislatura regionale, che per prassi è convulsa e vede affastellarsi nelle aule consiliari provvedimenti di ogni genere che richiedono speditezza nella trattazione e decisione, tutte caratteristiche che non si addicono alla materia della pianificazione delle aree protette;

rilevato che lo Statuto regionale, in via di ultimazione, pare essere la necessaria cornice normativa in cui potrebbe trovare collocazione la riforma delle legislazione regionale in tema di aree protette, alla luce delle maggiori autonomie introdotte dalla riforma del Titolo V della Costituzione, sia pure nell’ambito della competenza concorrente, come si verifica in materia di ambiente

propongono

una moratoria nell’iter di approvazione sia dell’emendamento alla LR: 12/05 che del PDL sulle aree protette, che rinvii alla nuova amministrazione regionale, varato lo Statuto regionale, la modifica dell’attuale assetto di competenze tra Parchi e Comuni, in modo che la materia possa essere trattata senza strumentalizzazioni, con la serenità e la serietà che si conviene a scelte da cui dipende il futuro dei parchi lombardi e la tutela di un territorio, come si è detto, già pesantemente afflitto dal consumo dei suoli.

Galbiate, 28 febbraio 2008

Firmato

Parco del Monte Barro,Giuseppe Panzeri, Parco Adda Nord,Agostino Agostinelli ,Parco Oglio Sud, Alessandro Bignotti, Parco Nord Milano, Ignazio Ravasi, Parco delle Orobie Bergamasche, Franco Grassi, Parco dell’Adamello,Alessandro Bonomelli, Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate, Mario Clerici,Parco dei Colli di Bergamo,Gianluigi Cortinovis, Parco Agricolo Sud Milano, Bruna Brembilla, Parco Adda Sud, Attilio Dadda, Parco Alto Garda Bresciano, Bruno Faustino, Parco Montevecchia e della Valle del Curone, Eugenio Mascheroni, Parco del Mincio, Alessandro Benetti, Parco Campo dei Fiori, Giovanni Castelli, Parco Grigne Settentrionale, Carlo Molteni,