sabato 31 gennaio 2009

Arieccoli!

Ce l'avevano promesso. E puntuale come una cambiale in scadenza è arrivata la notizia: in Regione si ritorna a parlare di parchi.
La premiata ditta Comunione & Circonvallazione (ispirata ai sacri ideali crisitani) e la Lega (paladina della difesa del territorio) confermano il "grande disegno" per la Lombardia, all'interno del quale lo smantellamento dei parchi è un tassello importante. La raffinata analisi e la conseguente strategia si riassumono in pochi punti.

Il problema: Sviluppare il terrorio
Come: Innervandolo di strade
Perchè: Perche poi ci si può costruire intorno di tutto
Quali ostacoli bisogna superare: I vincoli di legge, le tutele, la lentezza dei procedimenti




Da Repubblica
Regione, torna la legge ammazza-parchi
Il provvedimento sarà discusso in aula nelle prossime settimane, ma i verdi e le associazioni ambientaliste stanno già affilando le armi (di Andrea Montanari)
Parco Sud Parco Sud
Nuovo allarme sul destino dei parchi e delle aree verdi delle città lombarde. Dopo lo stop del consiglio regionale, che ha rispedito circa un anno fa in commissione Ambiente la proposta di legge sui parchi sostenuta dal centrodestra, sembra che un nuovo pericolo si stia per abbattere su aree finora protette. Quello dell’arrivo di una nuova colata di cemento.

Il relatore del progetto di legge sulla riforma delle aree protette, il consigliere regionale Giuseppe Giammario (Forza Italia), ha illustrato il nuovo testo. Spicca all’articolo 8, fra l’� altro, che se è vero che «la giunta regionale nella fase istruttoria del coordinamento del parco o delle sue varianti garantirà il confronto tra l’ente gestore e il comune, in caso di conflitto tra un parco e un ente locale, l’ultima parola spetterà al Pirellone». Senza contare che in futuro spetterà sempre alla giunta anche la nomina dei nuovi presidenti dei parchi.

Il provvedimento sarà discusso in aula nelle prossime settimane, ma i verdi e le associazioni ambientaliste stanno già affilando le armi. Oggi il 20 per cento del territorio regionale è incluso in aree protette, il doppio della media nazionale. Si tratta di 550mila ettari di suolo lombardo, suddivisi in 22 parchi regionali, 63 riserve naturali, 29 monumenti naturali, 81 parchi locali di interesse sovracomunale. Aree che, almeno sulla carta, finora sono state sottratte alla speculazione edilizia. E che attualmente sono destinate alla conservazione della natura, all’agricoltura e al turismo.

«Una deregulation urbanistica sarebbe la capitolazione totale rispetto agli interessi legati al cemento», denuncia il presidente di Legambiente, Damiano Di Simine. Mentre il verde Carlo Monguzzi e Pippo Civati (Pd) invitano «a una nuova grande mobilitazione come fu quella contro l’emendamento ammazza parchi». Non saranno risparmiate nemmeno le cosiddette aree standard delle città. Ovvero le aree che in base al piano regolatore dovevano essere destinate al verde a alla costruzione di servizi sociali come scuole o asili. Scaduto il termine di cinque anni i comuni potranno farne ciò che vogliono. A patto di utilizzarle per nuova edilizia popolare.

Housing sociale, come l’ha definito l’assessore comunale al Territorio, Carlo Masseroli, che ha annunciato il via libera del Comune a giorni. Il suo collega al Pirellone, il leghista Davide Boni, non è contrario, ma pone alcuni paletti. «I Comuni avranno a disposizione un altro anno per completare i piani generali del territorio. Per quelli che hanno un bisogno abitativo elevato come Milano si potranno utilizzare anche aree attualmente destinate a verde e parcheggi. Ma solo nella fase transitoria. In quella di applicazione dovranno assicurare un supporto effettivo di spazi adeguati al verde e ai giochi per l’infanzia».

giovedì 23 ottobre 2008

Lettere sul consumo di suolo - Castelli

Per la rubrica "Scrivi al tuo senatore" ecco una lettera al senatur Castelli cui ci rivolgiamo sommessamente per sapere "ma ci fai o ci sei?" Il tutto nasce da Exit (La7), il tema era "la cementificazione". Castelli, ospite in trasmissione, ne parla con toni che vanno dal fatalismo alla rassegnazione, lo giudica un fenomeno ineluttabile, dice che il danno è fatto, che non c'è più niente da tentare.

Uno tsunami di gru è cemento sembrerebbe aver travolto tutti quanti per volontà divina.

Pur rispettando la vena mistica ci è sembrata troppo sfacciata la scorciatoia trovata dal senatore, nella lettera gli proponiamo una visione più laica delle cose e lo sollecitiamo a prendere in carico il problema e ad attivarsi con una proposta di legge.

Gentile sen. Castelli,

l'ho vista ieri sera a Exit. la trasmissione televisiva di La7. Si parlava di cementificazione del territorio e consumo di suolo. A un certo punto dopo avere sviscerato la penosa situazione italiana, più di altre nazioni vittima di questo fenomeno, si è passati alla ricerca dei responsabili, più o meno tutti si sono trovati d'accordo sul fatto che le maggiori responsabilità sono dei sindaci. Un po' per un errato concetto di sviluppo (che viene identificato col manufatto edilizio), un po' per indifferenza ai problemi ambientali, un po' per far quadrare i bilanci, alla fine i sindaci vanno a sacrificare il territorio, con un danno che tutti hanno riconosciuto e deprecato.

Quando la parola è passata a lei mi aspettavo che in qualche modo si assumesse delle responsabilità sullo status quo. Intendo dire che lei e il centro destra siete stati al governo per due terzi degli ultimi 15 anni. Anni che hanno appunto visto un boom edilizio (pare più grande di quello del dopoguerra) in cui si è costruito troppo e male. Ci troviamo col territorio devastato e un enorme problema abitativo, pieni di case vuote e senza case da dare alla gente. Ora d'accordo che se i sindaci fossero stati più virtuosi con i loro piani regolatori ora forse saremmo messi meglio, ma non le sembra che sarebbe stato il caso di fare un bella legge nazionale sul consumo di suolo, per controllarne l'utilizzo, limitando fortemente l'uso di suolo libero? Lo hanno fatto in Inghilterra, in Germania, in Francia, in Olanda. Qualcuno pone obbiettivi in termini di consumo di ettari all'anno dicendo ad esempio "non consumeremo più di 10.000 ettari all'anno e arriveremo sotto i 5.000 entro 10 anni", altri richiedono che si costruisca riutilizzando principalmente le aree dimesse, consentendo in minima parte l'utilizzo di suolo libero.

Sono quindi rimasto sconcertato sentendola prendere le distanza dal problema, riconoscere solo le responsabilità dei sindaci, dire che il danno ormai c'è e non si può fare più niente.

Due considerazioni

- Poteva essere fatto molto, non c'era nemmeno da inventarsi nulla bastava ispirarsi ai paesi più virtuosi. E questa è una responsabilità in primis dei governi e del parlamento. Se oggi l'Italia è oggettivamente inguardabile in molte sue lande, la responsabilità è spalmata sulla politica dell'ultimo mezzo secolo, ma il fatto che negli ultimi 15 anni, pur essendo ormai matura la consapevolezza del problema, non sia prodotto un quadro normativo, consentendo di fatto il boom nei termini in cui è avvenuto, è francamente imperdonabile.

- E' vero che il danno è fatto ma è anche vero che, come confermano i piani regolatori più o meno "aggressivi" dello sterminato tessuto urbano italiano, un'altra fetta di territorio sta per andarsene. Il danno quindi continua ogni giorno, continua nei cantieri dove materialmente viene imposto il sarcofago, continua negli studi di progettazione dei signori del mattone e nei palazzi della politica dove uno spazio vuoto sulla cartina, un'area agricola, è solo un'opzione, un vuoto da riempire. E quindi alla domanda se si può fare qualcosa la risposta non può che essere positiva, senatore, siamo in piena emergenza. Il mio "fare qualcosa" è scriverle questa lettera, spero che il suo sarà un progetto di legge.

Cordialmente

martedì 23 settembre 2008

CLIMA: DA METANO ARTICO PROSSIMA CATASTROFE ECOLOGICA

Mah...

(ANSA) - LONDRA - Milioni di tonnellate di metano - un gas 20 volte piu' dannoso dell'anidride carbonica per il suo contributo all'effetto serra - si apprestano ad 'esplodere' nell'atmosfera, rischiando di provocare una catastrofe ecologica. E' questo l'allarme lanciato oggi sulle pagine dell'Independent. Il quotidiano britannico e' stato il primo a parlare con gli scienziati che hanno raccolto le prove che lo scioglimento dei ghiacci e del permafrost nella regione artica sta permettendo agli enormi depositi di gas metano sottostanti di liberarsi nell'atmosfera, replicando una dinamica che gia' in passato aveva causato drammatici cambiamenti del clima.

Secondo quanto scrive oggi il giornale, un'equipe di scienziati che ha navigato lungo l'intera costa settentrionale della Russia ha rilevato concentrazioni estremamente alte (a volte 100 volte superiori ai livelli normali) di metano in diverse aree di parecchie migliaia di chilometri quadrati della Siberia. Negli ultimi giorni, inoltre, i ricercatori hanno visto il mare ribollire a causa del gas che e' riuscito a attraversare lo strato sottomarino di permafrost, ora in fase di scioglimento. ''In precedenza, avevamo documentato livelli elevati di metano gia' sciolto nell'acqua. Ieri, per la prima volta, abbiamo trovato un punto in cui l'emissione di metano era cosi' intensa che il gas non aveva il tempo di sciogliersi nell'acqua e giungeva in superficie sotto forma di bolle'', ha scritto qualche giorno fa in un'email Orjan Gustafsson, uno degli studiosi della spedizione scientifica a bordo della nave russa 'Jacob Smirnitskyi'. Quanto registrato dagli studiosi sarebbe l'inizio di un ciclo devastante: la fuoruscita di metano accelererebbe esponenzialmente il surriscaldamento globale provocando a sua volta lo scioglimento di altro permafrost e di conseguenza liberando nell'atmosfera altro metano ancora: con il risultato di innescare un meccanismo inarrestabile.

I risultati preliminari raccolti dagli studiosi a bordo della 'Jacob Smirnitskyi' verranno pubblicati dalla American Geophysical Union dopo essere statu elaborati e studiati da Igor Semiletov dell'Accademia delle scienze russa. E' dal 1994 che Semiletov controlla i livelli di metano che fuoriescono dal permafrost: ma mentre negli anni Novanta non aveva mai rilevato livelli elevati del gas, a partire dal 2003 ha trovato diverse ''sorgenti''. Negli ultimi decenni la temperatura delle zone artiche e' salita di circa 4 gradi centigradi, facendo diminuire in maniera notevole l'estensione delle aree coperte da ghiacci anche durante l'estate. Secondo gli scienziati la perdita della coltre di ghiaccio rappresenta un'ulteriore spinta per un surriscaldamento globale sempre piu' rapido, dato che l'oceano assorbe piu' calore di quanto invece viene riflesso dalla superficie ghiacciata. (ANSA).
23/09/2008 17:14

martedì 27 maggio 2008

"Più capannoni lungo le autostrade" diventa legge in Lombardia

L'enorme potenza di fuoco legislativo della Regione Lombardia colpisce ancora, dopo l'ammazzaparchi (momentaneamente ritirato ma già pronto a ricomparire nell'ambito della revisione della legge quadro sui parchi), ci si mantiene in allenamento approvando una "leggina" che in sintesi dice:
- Pratiche veloci per le infrastrutture (hop-hop-hop via tutta quella carta e quelle lungaggini...)
- Mano libera ai privati che hanno partecipato alla realizzazione dell'opera: 20 anni di concessione non bastano? Bene, che gli scatoloni (logistiche, centri commerciali, cinema a 48 sale e via scatolonando) sorgano fino al sospirato pareggio.

Sado-masochismo territoriale e buoni sentimenti federalisti si mescolano nei commenti del post-voto.
L'assessore regionale Raffaele Cattaneo gioca con le parole e con la nostra intelligenza sostenendo che si tratta di "federalismo territoriale". Come se non fosse possibile un modello federalista che abbia a cuore la tutela del territorio invece del suo consumo indiscriminato.

Grazie a
HelpConsumatori da cui è tratta la cronaca che segue.

IL Consiglio Regionale lombardo ha approvato in data 18-05-08 la nuova Legge Obiettivo numero 226 in materia di infrastrutture. Il voto - rinviato nella seduta precedente per mancanza del numero legale - è stato espresso in maniera favorevole dalla maggioranza, con l'astensione del Pd e il parere contrario del resto dell'opposizione (Sd e Prc). La legge intenderebbe velocizzare la realizzazione di infrastrutture strategiche varie o ferroviarie di interesse nazionale per le quali è già stato riconosciuto il "concorrente' interesse nazionale e regionale". Scopo dichiarato del provvedimento è la riduzione delle procedure introducendo la regionalizzazione dell'istruttoria e assegnando alla Regione tutti quelli strumenti utili per superare l'eventuale inerzia degli organi statali.

In sintesi, qualora non si raggiungessero le intese per regolare ruoli, competenze e tempi, la Regione potrà intervenire con propri provvedimenti per evitare che eventuali lentezze da parte degli organi statali competenti possano frenare la realizzazione delle infrastrutture. Con l'approvazione di questa norma è possibile inserire all'interno della concessione per la costruzione di nuove strade e autostrade anche la possibilità di realizzare insediamenti e strutture di vario genere nelle aree vicine al tracciato. Il provvedimento prevede anche l'avocazione alla Regione di una serie di prerogative decisionali e autorizzative finora in capo al Governo nazionale. Delle nuove norme potranno beneficiare opere come la Pedemontana, la Brebemi e la Tem, oltre alle tratte ferroviarie Arcisate-Stabio, la connessione Malpensa-Ferrovie Sempione, la Chiasso-Monza e la Gallarate-Rho.

"Oltre all'aspetto contraddittorio nei confronti delle competenze governative - afferma Pietro Mezzi, assessore al Territorio e Parchi della Provincia di Milano - va lanciato un vero e proprio allarme per lo stravolgimento del territorio che questa norma comporta. Da oggi, infatti, sarà possibile intasare per una larga fascia i nuovi tracciati con insediamenti indiscriminati, al solo scopo di permettere al concessionario di ripagarsi l'opera in assenza di un ritorno economico dai pedaggi. Bisogna porsi l'obiettivo di ricostruire il paesaggio attorno al tracciato di una nuova autostrada, e cercare di contestualizzarla, non costruirle intorno capannoni e centri commerciali stravolgendo il territorio. In questo modo - continua l'assessore Mezzi - si produce un impoverimento complessivo dell'ambiente e ci allontaniamo dalla positive esperienze realizzate in molti Paesi esteri, dove si cerca di ridare fisionomia e qualità al paesaggio attorno ai grandi tracciati". Diversa la posizione della maggioranza regionale, secondo cui "la via del federalismo deve passare anche per autostrade e ferrovie", come ha dichiarato l'assessore alle Infrastrutture della Lombardia, Raffaele Cattaneo, che usa proprio il termine di ''federalismo infrastrutturale'' per descrivere la legge appena approvata. "La speranza, adesso, è che la legge non venga impugnata dal governo - ha continuato Cattaneo - non mi sorprenderebbe se dei funzionari ministeriali proponessero il ricorso perché la nostra legge è innovativa, ma su questo misureremo la politica''.

Sulla legge, ha ricordato il presidente della commissione Territorio del Consiglio regionale Marcello Raimondi, c'è già stato un confronto con i ministri del passato Consiglio. ''Per questo siamo sereni sul fatto che al governo non interessi fare ricorso, tanto più che l'attuale maggioranza parlamentare ha un orientamento federalista. Il ricorso sarebbe un un autentico controsenso''. Comunque, il Consiglio ha approvato anche un ordine del giorno per chiedere al governo di approvare una legge speculare a quella della Lombardia, che dia alle Regioni la possibilità, nel caso di infrastrutture concorrenti, di fissare discipline istruttorie più snelle e veloci.
''Quello che facciamo è prenderci tutti gli spazi di federalismo che ci consente la Costituzione'' ha aggiunto Cattaneo spiegando che l'effetto della Lgge obiettivo regionale "sarà quello di tagliare i tempi e abbassare i costi". Diversa la visione dell'opposizione di sinistra, secondo cui la legge lombarda stravolgerà in maniera irresponsabile il territorio.

"E' una legge miope e irresponsabile, poiché assume come bussola e ratio suprema la fretta di fare le grandi opere autostradali, come Pedemontana, Brebemi e Tem, senza porsi troppi problemi sul come operare e sul conseguente impatto ambientale e territoriale", afferma in una dichiarazione Luciano Muhlbauer, consigliere regionale lombardo del Prc. "La nuova legge, infatti - sottolinea Muhlbauer - non prevede soltanto un potere sostitutivo da parte del Governo regionale rispetto a quello nazionale in caso di ritardi procedurali, ma inserisce con l'articolo 10 una sorta di maxi-deroga agli strumenti urbanistici e paesistici, laddove stabilisce che le concessioni per le infrastrutture, approvate dal Presidente della Regione, possono comprendere anche l'autorizzazione per l'edificazione delle aree limitrofe. E come se non bastasse, la definizione di cosa e dove esattamente si può costruire, è talmente ambigua e generica, che praticamente tutto diventa possibile. E l'unico vero criterio per tali interventi diventa così che i margini operativi di gestione possano contribuire all'abbattimento del costo dell'esposizione finanziaria dell'infrastruttura". La preoccupazione della sinistra che ha votato contro - mentre il Pd si è semplicemente astenuto - è che questa norma sia anticostituzionale. "Pur guardando con favore alla partecipazione di privati per la costruzione delle opere infrastrutturali - ha rimarcato il vicepresidente del Consiglio Marco Cipriano (Sd) - credo che questi soggetti dovrebbero investire non per un tornaconto diretto ma attraverso i benefici indiretti sulla attività economica". Una delle questioni più discusse, infatti, riguarda l'articolo che prevede la possibilità che le concessioni riguardino non solo i tracciati ma anche le zone a loro vicine per "ottenere maggiori introiti".

Contro questo punto diverse associazioni - fra cui Italia Nostra e Rete Lilliput - hanno iniziato una raccolta firme e proposto un emendamento per cancellare la norma, presentato in primis dal consigliere del Prc Muhlbauer. "Poiché sono noti e significativi i problemi finanziari che comportano le faraoniche opere autostradali - ha spiegato Muhlbauer - Regione Lombardia non trova di meglio che offrire come una preda il territorio più o meno adiacente al tracciato delle autostrade". Ha parlato invece di un "miglioramento" il consigliere dell'Udc Gianmarco Quadrini, mentre Stefano Tosi del Pd ha spiegato la scelta astensionista come una "perplessità su alcuni strumenti e alcune incongruenze con la legge urbanistica, anche se è una misura importante perchè va nella direzione di ridurre i tempi delle procedure di progettazione e realizzazione delle infrastrutture decisive per il territorio, oggi oggettivamente troppo lunghe e farraginose e perché può avere un impatto positivo sulle politiche di sviluppo".

mercoledì 16 aprile 2008

Regione dalle Ombre Lunghe

Riprendiamo da Eddyburg.it.

Qui la petizione contro l'ultima invenzione mangiaterra della Regione Lombardia

In un nuovo progetto di legge lombardo sulle infrastrutture, si esplicita la strategia di "sviluppo del territorio". Una iniziativa per contrastarlo

Sono passati soltanto pochi giorni da quando, presentando il “nuovo” progetto per l’autostrada lombarda Pedemontana, il presidente ne enfatizzava il potenziale ruolo di vero e proprio corridoio verde dentro la cosiddetta “città infinita”. Contemporaneamente, una dettagliata analisi pubblicata dai Comitati territoriali di alcune aree interessate sottolineava il rischio, quasi ovvio, che qualunque intenzione e dichiarazione in questo senso potesse rivelarsi alla fine assai debole: sia in una prospettiva storica, visto che puntualmente l’infrastruttura stradale a tutte e latitudini si tira appresso forme di urbanizzazione conseguenti; sia nella contingenza politica e culturale italiana e specie padana, dove dietro altisonanti quanto banali “misure d’uomo” e altrettanto rituali “attenzioni all’ambiente”, spunta sempre implacabile la necessità di “sviluppo del territorio”.

Quasi contemporaneamente alle rassicuranti e propositive dichiarazioni sulla Pedemontana, in altra sede non troppo discosta si presentava il progetto di legge lombardo Infrastrutture di Interesse Concorrente Statale e Regionale, che mira a definire “procedure scandite da tempistiche veloci e da meccanismi di reazione all’inerzia degli organi istituzionali”, si orienta in particolare all’autostrada Pedemontana, al nuovo collegamento Milano-Brescia, alla Tangenziale Esterna del capoluogo, e vedi vedi “valorizzazione massima delle aree infrastrutturali, comprese le aree connesse”.
Insomma, detto in altre parole: che ce ne facciamo di tutto quel verde, che poi i paroloni tipo greenway non li capisce nessuno? Molto meglio, che so, l’ outlet del fuoristrada, la boutique dell’insaccato, il mega-fashion-district della calzatura sportiva.
Vicolungo insegna: fuori dall’oblio della storia, a colpi di comodi parcheggi e trompe l’oeil precompressi studiati dai migliori megavetrinisti.

Proprio mentre il comune di Milano inaugura il suo nuovo rapporto col territorio agricolo post-Expo, dedicando al Farmers’ Market un rettangolo di (esageriamo) mille metri quadrati in piazza San Nazaro, affacciato sul corso di Porta Romana, fuori dalla cerchia delle tangenziali, hic sunt peones, l’ineluttabile “sviluppo del territorio” si è già mangiato virtualmente qualche migliaio di ettari, rigorosamente a nastro, lungo le nuove arterie, magari anche in pieno parco Ticino sulle fasce laterali dell’appena inaugurata A4-Malpensa.
Come? Il nostro bel Progetto di Legge lo esplicita all’articolo 10, dove si spiega che “per ottenere maggiori introiti dalla possibilità di sfruttare economicamente aree attigue ai tracciati ed ammortizzare più facilmente gli investimenti attraendo capitali privati, le concessioni possano riguardare anche aree esterne alle infrastrutture, ma con le stesse collegate, sicché i relativi margini di gestione possano contribuire all’abbattimento dei costi dell’esposizione finanziaria dell’iniziativa complessiva”.

Chiaro, inequivocabile, squadrato. Ricorda proprio la forma di quegli insediamenti “esterni alle infrastrutture ma ad essi collegati” che allietano nella logica del massimo sfruttamento i vari serpentoni stradali di piano e di valle.
Maggiori particolari, nell’allegato.

Nota: Chi non ama le cose esterne alle infrastrutture ma ad esse collegate, può aderire alla Petizione contro il PdL (Fabrizio Bottini)



File allegati:
PdL_Lombardia_Infrastrutture ( PdL_Infrastrutture.pdf 144.47 KB )

sabato 12 aprile 2008

Fare fare fare ambientalissimamente fare

Stupefacente giro di valzer in consiglio comunale a Tortona, il progetto di un contestatissimo impianto per la produzione di bioetanolo passa coi voti della minoranza PD, 4 consiglieri votano con la maggioranza di centro destra che nel frattempo aveva perso due dei suoi, abitanti della frazione che dovrà ospitare l'ingombrante impianto.
Insomma le 4000 firme raccolte, i sempre più consistenti dubbi sulla reale sostenibilità di questo tipo di agroenergia, al punto che si prospetta la sospensione dei contributi e dei finanziamenti comunitari, le frequenti richieste di moratoria non sono servite a frenare ciò che doveva essere vista la vicinanza del costruttore dell'impianto all'area PD. L'ambientalismo del fare, promesso sia da Berlusconi che da Veltroni entra in scena.


Dalla Provincia Pavese di del 10 aprile


T
ORTONA

VOTO A SORPRESA

Nel centrodestra due consiglieri abitanti nella frazione hanno bocciato la proposta

Bioetanolo, «sì» con l'appoggio decisivo del Pd


Sul via libera all'impianto il sindaco Marguati era in minoranza. Il pubblico contesta

Oltre 100 persone presenti. Fischiato l'esito della seduta

TORTONA. La prima delibera sull'impianto di bioetanolo a Rivalta è stata approvata solo grazie ai voti del Pd, che ha salvato la maggioranza da un crollo quanto mai inaspettato, con due consiglieri di maggioranza (uno del Pdl e l'altro dell'Udc) che hanno votato contro il proprio sindaco. E' questo l'epilogo del consiglio comunale che si è svolto l'altra sera, terminato fra le urla di protesta del folto pubblico, con insulti all'indirizzo degli amministratori e soprattutto dei quattro consiglieri del Partito Democratico, che sono stati definiti veri e propri «voltagabbana» dai numerosi presenti.
Le parole usate sono state di ben altro tenore: i riferimenti al ruolo dell'imprenditore Guido Ghisolfi, fautore dell'impianto e membro dell'esecutivo del Pd, si sono sprecati. Già all'inizio di seduta si è capito che il sindaco non aveva i numeri per far approvare la delibera: nelle file di Forza Italia era assente il consigliere Zornetta, per cui Marguati, sulla carta, poteva contare sull'appoggio soltanto di 9 voti (più il suo) su 20 presenti. Le sorprese però non sono mancate: da 10 voti la maggioranza è scesa a 8. Il consigliere di Forza Italia Giorgio Musiari, abitante di Rivalta, ha detto: «L'impianto è troppo inquinante, le abitazioni si trovano a 250 metri, quindi anche in qualità di padre di famiglia voterò contro la delibera». Anche da Mariella Varni, dell'Udc (stesso partito del sindaco), anche lei di Rivalta, annuncia di aver cambiato idea: «Sostengo sempre Marguati. ma sul bioetanolo, mi spiace, Rivalta ha già dato ed io voterò contro». Per la maggioranza sono momenti critici. Marguati può contare soltanto su 8 voti: tre di Forza Italia, due dell'Udc, uno della Lega Nord e uno della lista civica, oltre al suo. Nella minoranza si contano 5 voti contrari: Ronchetti, Cattaneo, Musiari, Varni e Semino della Rosa bianca, che in un primo tempo si era pronunciato per un'astensione. Toso, anch'egli contrario, ha abbandonato l'aula per motivi di salute, mentre Sala, dell'altra lista civica, si astiene. Diventano determinanti, a questo punto, i voti dei 4 consiglieri del Pd: Bardone, Filella, Dematteis e Castagnello. I quattro a inizio seduta avevano chiesto «di vincolare l'area prescelta alla realizzazione specifica dell'impianto di bioetanolo e che questa decisione sarebbe stata determinante nella loro scelta». Invece, quando il dirigente del Comune risponde loro che questo non è possibile, i quattro votano a favore di Marguati, con conseguente bagarre. Urla e grida di dissenso fra il pubblico, ma la protesta rimane entro i confini verbali. Il presidente Paolo Ronchetti non ha scelta: sospende la seduta facendo intervenire le forze dell'ordine, e i contestatori (oltre 100 persone) si allontanano spontaneamente. Non prima però di lanciare improperi e commenti molto critici all'indirizzo di molti consiglieri comunali. Nel consiglio «aperto» di lunedì ambientalisti, tecnici ed esperti del settore si erano pronunciati contro l'impianto.

Pagina 29-b - cronaca

Lo «sciopero» proposto dal comitato

«Nessuno alle urne domenica a Rivalta»

TORTONA. Per protesta diserteranno le urne, domenica e lunedì non si recheranno a votare. E' questa la prima risposta del Comitato «Per Rivalta vivibile» alla decisione di approvare la variante urbanistica per l'impianto di bioetanolo. Il presidente del Comitato, Enzo Pernigotti, chiama tutti a raccolta e non si dà per vinto. «Questa è solo la prima delibera che riguarda il bioetanolo. Noi non intendiamo arrenderci: aspettiamo lo studio di impatto Valutazione ambientale, la decisione della Regione e poi quella degli altri organi competenti. Siamo pronti a dare battaglia anche in altre sedi e aspettiamo le prossime delibere. Dopo aver acquisito il parere di molti esperti, abbiamo capito che produrre etanolo dalla granella di mais non è affatto conveniente». A dare mandato al comitato di promuovere la forma di protesta, sono stati gli stessi rivaltesi, durante una recente riunione. «Questa iniziativa - conclude Pernigotti - rappresenterà solo una scelta temporanea: alle prossime elezioni amministrative in programma nella primavera del prossimo anno, per il rinnovo del consiglio comunale, inviteremo a penalizzare col voto quei consiglieri che hanno votato a favore della variante ed a premiare invece quelli che invece hanno votato contro».

Pagina 30-a - cronaca

mercoledì 9 aprile 2008

Lo schiaccianoci

La "Lombardia sempre più bella" di Formigoni, degli assessori Boni, Cattaneo e Abelli, della presidente del Parco del Ticino Milena Bertani, del presidente della Provincia di Pavia Poma, di molti sindaci.


L'elegante fregio disegnato dal complesso di tangenziali e raccordi autostradali attorno all'abitato (ancora abitabile?) di Cava Manara (Pavia): quando lo sviluppo non trascura il senso estetico.


mercoledì 19 marzo 2008

Nasce l'osservatorio sul consumo di suolo

Una iniziativa INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e Legambiente.

Le Province della 'Bassa' lombarda sono la nuova terra di conquista del cemento

Chi più ne ha, più ne spreca. Stiamo parlando del territorio agricolo lombardo, sempre più 'terreno di conquista' per iniziative immobiliari e opere infrastrutturali che non tengono in conto il valore dei suoli: un valore che è allo stesso tempo ambientale, paesaggistico e agricolo, ma che sparisce di fronte alle rendite speculative connesse alla sua trasformazione in terreno edificabile. Di questo si è parlato al convegno organizzato oggi da Legambiente Lombardia con il patrocinio della Presidenza del Consiglio Regionale Lombardo.


Quanto siano speculative le rendite connesse al consumo di suolo lo si capisce dalla pressione che esse esercitano sui terreni agricoli della 'Bassa'. A Mantova spetta il titolo di 'provincia sciupasuoli'. In tutta la provincia mantovana, ogni anno, 'spariscono' 616 ettari di suolo prevalentemente agricolo, cioè una superficie pari a quella di un migliaio di campi di calcio, per far fronte ad un fabbisogno che non ha nulla a che fare con la domanda di residenza: infatti, con una popolazione che è appena un decimo di quella della provincia di Milano, a Mantova si consumano ogni anno 16 metri quadri di suolo per abitante (a Milano il dato pro capite è 2,4 mq). Ma nella categoria 'sciupasuoli' ci sono un po' tutte le provincie della 'Bassa': Pavia e Lodi (11 mq/ab*anno), Cremona (8,6) e Brescia (8,0 mq/ab*anno). Tutti territori di conquista per una alluvione di capannoni spesso vuoti, centri commerciali con annessi parcheggi, strade. Certo, la 'bolla immobiliare' ha giocato a favore di questa crescita inflattiva di consumi di suolo, ma il dato è destinato a consolidarsi, e forse anche a peggiorare, con le previste nuove opere autostradali (Cremona-Mantova, Tirreno-Brennero, Broni-Mortara, BreBeMi) che porteranno con sé anche una crescita di valore immobiliare per i suoli in prossimità dei futuri svincoli. Le situazioni più gravi restano, come ovvio, quelle dell'area metropolitana che da Varese e Milano si estende ormai senza interruzione fino a Brescia, provincia in cui il dato del consumo di suolo è in assoluto il più alto della Lombardia (929 ettari all'anno nel periodo 1999-2004), di poco superiore perfino a quello milanese che tuttavia presenta una situazione ormai consolidata di cementificazione pervasiva, specie nel quadrante nord. Tuttavia il dato delle province meridionali lombarde è preoccupante perchè indica una tendenza alla crescita del cosiddetto sprawl urbanistico, un termine anglosassone che significa 'sparpagliamento' disordinato degli insediamenti e che porta con sé costi ambientali crescenti, a partire dall'aumento della mobilità commerciale e privata, e quindi dell'inquinamento atmosferico, ai danni di un territorio agricolo che è tra i più fertili e produttivi d'Europa.


I primi dati raccolti ed elaborati dal DiAP (Dipartimento di Architettura e Pianificazione) del Politecnico di Milano, nell'ambito del costituendo Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo promosso da INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e Legambiente, parlano di una Lombardia che consuma quasi 5000 ettari di suolo ogni anno, pari a circa 140.000 metri quadri di terra Lombarda che ogni giorno vengono coperti di cemento e asfalto.


“Suolo e acqua sono le risorse naturali più preziose di cui dispone la nostra regione – commenta Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia –, il suolo in particolare è una risorsa non rinnovabile e che quindi, una volta consumato, non sarà più disponibile per le generazioni che verranno. Occorrono politiche e norme efficaci contro la dilapidazione del patrimonio territoriale lombardo, che purtroppo è favorito dai comuni per i quali le concessioni di nuovi volumi edificabili rappresentano il modo più facile per fare cassa”.


Per raggiungere l'obiettivo della tutela dei suoli, Legambiente propone di attuare la 'compensazione ecologica preventiva': si tratta in pratica di vincolare ogni trasformazione di suoli alla realizzazione di interventi di riqualificazione e cura del paesaggio attraverso azioni di rinaturazione, per responsabilizzare il settore delle costruzioni e incentivare l'edilizia della ristrutturazione e del riuso delle aree dismesse rispetto a quella che occupa territori 'vergini'.


“Sono sempre di più i Paesi europei che mettono in campo norme rigorose per preservare le proprie risorse di natura e paesaggio connesse con la conservazione del territorio rurale – conclude Di Simine -. In Italia e in Lombardia non esiste ancora nulla di simile, ma non c'è tempo da perdere se vogliamo impedire che la nostra regione diventi una distesa caotica di piastre commerciali, autostrade e parcheggi”.

Dati sul consumo di suolo in Lombardia:

Provincia

Suolo consumato annuo, ettari/anno (1999-2004)

Indice di consumo di suolo,

% suolo consumato annuo/ superficie provinciale

Consumo annuo pro capite

m2 / ab * anno

Varese

312

0,26

4,0

Como

243

0,20

4,0

Lecco

149

0,18

5,0

Sondrio

123

0,04

7,0

Milano e Monza

893

0,45

2,4

Bergamo

634

0,23

6,5

Brescia

929

0,19

8,0

Pavia

544

0,18

11,0

Lodi

219

0,28

11,0

Cremona

289

0,16

8,6

Mantova

616

0,26

16,0

LOMBARDIA

4950

0,20

5,5

Fonte: elaborazioni Legambiente – DIAP Politecnico, su dati ARPA Lombardia riferiti al periodo 1999-2004. La popolazione di riferimento è desunta dal censimento ISTAT 2001

lunedì 17 marzo 2008

Il Nimby batte dove l´informazione duole

"I comitati che si battono contro la realizzazione delle opere pubbliche come autostrade, inceneritori, discariche,.... sono il vero problema dell'Italia" Walter Veltroni

Domanda per il candidato premier del PD:
Non sarà che 194 casi di sindrome NIMBY in Italia dipendono dalla pessima comunicazione di politici e amministratori pubblici? Da progetti folli, spesso devastanti per il territorio? Dall'assenza di qualsiasi forma di partecipazione pubblica alle decisioni?

Da Greenreport
di Diego Barsotti


LIVORNO. Come ogni anno l’associazione Nimby forum ha presentato i risultati dell’analisi del fenomeno Nimby (atteggiamento che si riscontra nelle proteste contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sui territori in cui verranno costruite) così come viene presentata attraverso i media cartacei.

Il dato più immediato che emerge dall’analisi dell’Osservatorio Nimby Forum 2007 è che il fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali riscuote un crescente interesse da parte dei media italiani, facendo riscontrare un progressivo aumento degli articoli censiti che nel corso della III edizione hanno raggiunto quota 4.116 (l’anno scorso erano 4020), e del numero di impianti contestati, ben 193 (nel 2006 furono 171).

E qui va subito sottolineato che in realtà le osservazioni del Nimby Forum si basano su un’evidenza oggettiva fornita dall’analisi del mezzo stampa, questo vuol dire che gli impianti classificati come contestati sono solo quelli che quotidiani, periodici, ecc. riportano come oggetto di contestazioni territoriali. Il che significa che comunque c’è una bella differenza fra il riverbero mediatico e la dimensione/numero delle contestazioni.

La capacità da parte dei media di informare quanto meno con terminologia corretta sulle singole questioni, è poi tutt’altro che sufficiente, anche perché come evidenziato più volte, nei giornali esistono sempre più tuttologi costretti a conoscere (inevitabilmente poco) le tematiche più disparate, e mentre esiste il cronista sportivo, quello politico, il giurista e il nerista, non esiste il giornalista esperto di ambiente, tanto meno è presente nelle redazioni locali.

Eppure è proprio questa una caratterista della sindrome Nimby: il fatto di partire sempre da situazioni locali: nel 70,9 % dei casi l’opposizione è legata a uno specifico impianto, segnando una netta crescita rispetto allo stesso dato della scorsa edizione (53,3%). Nel 9,1 % dei casi la contestazione riguarda un intero comparto produttivo o una determinata tipologia di impianto. Circa il 16% del campione invece attacca sia la tipologia di impianti, sia uno specifico progetto.

E guarda caso i media locali tendono a raccogliere le voci più alte che solitamente sono quelle dei comitati: per il 62% riportano posizioni negative e la voce solo di alcune delle parti in gioco (nel 39,4% sono presenti le dichiarazioni di amministratori pubblici locali e nel 24,3% di comitati di cittadini e solo per il 5,2% dell’azienda costruttrice). Anche perché solo alcune parti in gioco si pongono il problema di comunicare e fra queste quasi mai c´è l´impresa.

Ovvio che non è e non può essere solo colpa dei media, visto che da parte delle aziende la tendenza è quella di assumere la strategia comunicativa più sbagliata, ovvero nascondere la cosa il più a lungo possibile e poi durante la tempesta tenere la testa sotto la sabbia in attesa che la situazione si calmi.

Infine vale la pena di sottolineare un piccolo particolare che riguarda la Toscana , dove risulta il più alto rapporto tra impianti contestati e articoli di giornale riferiti alle contestazioni stesse: per dare un termine di paragone, in Toscana a fronte di 22 impianti nimbyzzati si sono avuti 734 articoli di giornale, in Lombardia i 28 impianti contestati hanno raccolto “solo” 396 articoli. Da una parte potrebbe voler dire che in questa Regione l’attenzione ai temi ambientali da parte dell’opinione pubblica è più alta che altrove (e questo in ogni caso potrebbe essere letto come una cosa positiva), dall’altra però significa proprio che i media funzionano non tanto come informazione ma come cassa di risonanza. E dove si "suona" di più, è ovvio che c´è maggiore......"risuonanza".

«C’è bisogno di un ritorno del senso di responsabilità di tutti i soggetti coinvolti – scrivono dal Nimby Forum - una visione del futuro che porti a una programmazione di sviluppo nel lungo termine. Per fare questo l’Italia deve ritrovare il senso del bene comune, cercare un rinnovamento delle procedure democratiche nella convinzione che tutela del territorio e sviluppo possono e devono convivere, per riuscire ad andare oltre il giardino».

Ma questo assomiglia molto alla "mozione degli affetti" che non è minimamente in grado di scalfire il cortocircuito fra informazione-partecipazione-decisione. Queste tre componenti (ed agite tutte e tre contemporaneamente) insieme all´assunzione del criterio della sostenibilità come prisma, sono le leve determinanti attraverso le quali è possibile garantire decisioni, tempi e consenso necessario. Poi, come abbiamo detto più volte, un´area di dissenso rimarrà sempre (ed è bene che sia così!) ma.....come è del tutto evidente e scontato, il problema dei decision maker di oggi non è quello di soffrire il consenso, bensì quello di non sopportare il dissenso.

sabato 15 marzo 2008

Pavia, quale futuro per la più grande area dismessa? La proposta di Legambiente


Visualizzazione ingrandita della mappa

L'area dell'ex SNIA Viscosa è la più ampia della città e la più discussa. Dal caso ROM di questa estate, alla costosa e sempre rimandata bonifica dei terreni, ai giri di valzer della proprietà con grandi (Zunino) e piccoli attori.


Legambiente circolo di Pavia - Autore Giovanna Vanelli

SNIA: UNA SFIDA DI INNOVAZIONE

Il recupero dell’area Snia è una delle priorità per Pavia e uno dei più rilevanti interventi sulle aree ex-industriali della città, per questo si deve progettare con lo sguardo rivolto al futuro.

Come Legambiente ha sempre sostenuto, preliminare a ogni ipotesi doveva essere lo studio delle condizioni del suolo per verificare lo stato di inquinamento. Ora che lo studio è stato completato, il quadro è chiaro: alla Snia ci sono aree a diverso grado di contaminazione: vi è principalmente un’area in cui si concentrano i residui dei materiali di lavorazione, una che va bonificata con interventi mirati a garantire la sicurezza del terreno e delle falde idriche e una sulla quale non si costruirà e che sarà da recuperare prevalentemente a verde. Altri interventi su zone più circoscritte dovranno garantire la sicurezza a tutto l’insediamento.

L’intervento sulla restante parte dell’area rimane ancora una sfida aperta, in cui tenere conto dei legittimi interessi del privato ma non meno della necessità pubblica di qualificare in modo del tutto innovativo una così vasta area di intervento. Data la dimensione il recupero della Snia non riguarda il solo quartiere di Pavia Est, ma l’intera città.

La SNIA costituisce, per dimensione e localizzazione strategica, una delle occasioni urbanistiche più significative per Pavia, e non può pertanto essere trattata a parte, disgiunta dal percorso di sviluppo del nuovo Piano di Governo del Territorio (PGT) che la Giunta comunale ha avviato in questi mesi.

La SNIA e le altre grandi aree dismesse devono svolgere un effetto di traino per il futuro della città. I problemi di degrado che accompagnano tali aree costituiscono certamente per i quartieri dove sono collocate una emergenza ambientale e sociale da affrontare al più presto. Affrontiamole dunque, ma non dimentichiamoci anche che queste aree sono patrimonio del complesso della cittadinanza e non solo del privato che ne è proprietario. Non dimentichiamo comunque che i proprietari stessi ricaverebbero un beneficio dalla migliore qualificazione del contesto urbano in cui tali aree sono collocate.

Non si può perdere un’occasione unica per la città. Con le risorse economiche ed intellettuali che queste aree possono attivare, si innescherebbero processi di cambiamento che interesserebbero tutto il tessuto urbano. Viceversa, senza risorse per l’attuazione, il nuovo PGT rischia di rimanere un elenco di sogni non realizzabili.

Bisogna cercare di volare alto. Gli interventi in queste aree devono essere esemplari per l’elevata qualità ed innovazione, per esempio nel campo energetico, ma non solo, coinvolgendo i saperi e i centri di ricerca di cui l’Università pavese è dotata. Con le risorse attivabili si può trovare la spinta necessaria per realizzare quegli interventi e servizi di interesse pubblico e generale che costituiscono la struttura ed il senso vero di un nuovo piano per la città.

Il progetto della SNIA, al di là delle considerazioni specifiche sui contenuti, è carente proprio nel raccordo con il resto della città, e con il percorso di PGT che si sta avviando. Non guarda oltre i confini del lotto, e non riesce quindi a tenere conto degli effetti e dei condizionamenti sul resto del tessuto urbano. Si prevedono una serie di funzioni, commerciali e terziarie, ad elevato afflusso di utenti, oltre alla scuola e circa 1.000 abitanti. Occorre preoccuparsi di come questo influirà sulla mobilità, sulla congestione viaria dell’intera zona est della città, ma anche sull’inquinamento atmosferico.

Ragionare in termini di efficienza energetica non significa solo progettare e costruire edifici meno energivori, significa anche impostare il sistema urbano in modo che sia più efficiente e consumi meno, per esempio spostando una parte della mobilità sui mezzi pubblici e/o sulla rotaia. Non è solo una questione di inquinamento atmosferico (ma anche se fosse solo per questo sarebbe una ragione più che sufficiente), ma è anche una questione di competitività del territorio pavese.

Un intervento delle dimensioni della SNIA rappresenta occasione unica per mettere finalmente in campo una riflessione di ampio respiro sulla mobilità cittadina, senza limitarsi solo alle strade, ma imparando a mettere a sistema tutte le modalità di trasporto ed evitando di considerarle disgiunte dagli sviluppi insediativi. Si dovrà guardare, oltre che alle strade, alle linee di trasporto pubblico, alla rete ciclabile e ….. perchè no ?! ... a quel progetto di collegamento metropolitano su ferrovia che era stato avanzato, supportato da seri studi alcuni anni fa e forse frettolosamente accantonato.

Oggi ci sono novità che inducono a riprendere in considerazione quel progetto. Tra pochi mesi termineranno i lavori di raddoppio della stazione di Rogoredo, e il passante milanese sarà finalmente collegato con la Milano-Pavia. Avremo treni che dalla stazione di Pavia entreranno nel passante interscambiando con le tre linee della metropolitana alle stazioni di Porta Venezia, Piazza Repubblica e Stazione Garibaldi. Le ferrovie hanno in programma l’aggiunta di un terzo e un quarto binario tra Rogoredo e Pavia, per utilizzare al meglio il potenziamento del sistema con l’apertura del passante.

La ferrovia Pavia-Casalpusterlengo è interessata da investimenti delle ferrovie per potenziarla al fine di aumentare i transiti di convogli, essendo stata inserita come tratta strategica nella maglia di collegamenti merci della Lombardia. Già oggi si può constatare che sulla linea passano più treni merci. Con questi miglioramenti, e qualche aggiunta, si potrebbe pensare di introdurre un valido servizio metropolitano cadenzato, che colleghi la zona est con la stazione di Pavia. Inoltre, tramite connessione verso nord (con un breve tunnel e utilizzando il passaggio attraverso lo scalo merci oggi dismesso), si potrebbero instradare i treni direttamente verso il passante ferroviario milanese.

La creazione di parcheggi accanto alle fermate, e soprattutto di una rete di piste ciclabili convergenti sulle fermate, permetterebbe di ampliare il bacino di captazione del servizio metropolitano, con evidenti benefici per la congestione viabilistica della zona est e con un alleggerimento della congestione sulla attuale stazione ferroviaria e su tutta la zona della Minerva e della Statale dei Giovi ed anche con un incremento di valore per tutti gli interventi insediativi che si andranno ad attestare nella zona ad est lungo la direttrice ferroviaria, SNIA compresa.

Andando oltre si potrebbe anche immaginare in futuro di prolungare il servizio metropolitano verso altri comuni, per esempio verso Belgioioso dal lato est, intercettando con parcheggi di interscambio il traffico che entra a Pavia. Dall’altro lato si potrebbe addirittura immaginare di prolungare il servizio metropolitano oltre la stazione di Pavia, verso sud, per esempio fino alla stazione di Cava Manara, intercettando il traffico che entra a Pavia da sud.

Le scelte di mobilità dentro e intorno alla Snia rappresentano un altro problema aperto. La strada cosiddetta “di gronda” dovrà essere una strada di accesso all’area e non certo un’arteria di scorrimento che finisca per attirare traffico dall’esterno; va cioè progettata con criteri tecnici di moderazione della velocità e di priorità da dare ai pedoni. Anche in vista di un possibile recupero della ferrovia al trasporto cittadino, va reso competitivo lo spostamento ciclabile e pedonale a breve raggio.

Qualcuno può definire queste proposte solo delle suggestioni, noi riteniamo invece che sia necessario sviluppare approfondimenti di fattibilità, perchè avviare un discorso oggi, con l’occasione della SNIA, delle aree dismesse e del percorso per il nuovo piano comunale generale (il PGT), potrebbe portare domani ad un sistema urbano più efficiente, in termini energetici, ma anche più competitivo, meno congestionato e meno inquinato e quindi più vivibile.

In particolare, Legambiente ritiene non sufficiente che gli oneri di urbanizzazione vengano destinati esclusivamente alla costruzione di una scuola e alla strada di gronda. Gli oneri dovrebbero invece essere anche utilizzati proprio nella direzione di costruire case di qualità, ad alto coefficiente energetico senza scaricare i costi sugli acquirenti finali e l’edificio scolastico potrebbe rappresentare il primo intervento in cui applicare tecnologie innovative di risparmio e produzione energetica, proprio per le particolari esigenze di una scuola e perché destinato a durare nel tempo.

Troppo spesso invece la recente edificazione a Pavia ha proposto e sta proponendo palazzine anonime realizzate con materiali di non elevata qualità, case prive di identità e dispendiose energeticamente. Così la città perderà attrattiva e qualità e questa ci sembra una scelta miope anche economicamente. Quando infatti a breve la domanda dell’edilizia non di qualità sarà satura, l’offerta di case di qualità, anche energetica, potrebbe diventare concorrenziale e muovere un mercato asfittico e artatamente bloccato su prezzi illogicamente alti.

In generale, l’opportunità offerta da un’area come questa è quella di un intervento omogeneo e coordinato, con evidenti economie di scala. Pochi esempi: è necessario che si progetti la doppia rete idrica, con separazione degli usi civili dagli usi sanitari, cui verrebbe riservata l’acqua potabile; sarebbe semplice e facilmente ammortizzabile realizzare una rete di riscaldamento e produzione energia con pompe di calore unite a cogenerazione, pannelli solari fotovoltaici e termici.

giovedì 13 marzo 2008

Dall'Olanda un no ai biocarburanti: UE, non sono sostenibili

Da Mondoelettrico

Uno studio commissionato dalla UE e redatto da The Netherlands Environmental Assessment Agency (MNP, Milieu en Natuur Planbureau) conclude che non è stata una buona idea quella di porre l'biettivo del 2020 per rimpiazzare il 10% dei carburanti derivati dal petrolio ad uso trasportistico con i bio-fuel non essendo questi un 'BUON INVESTIMENTO PER LA SOSTENIBILITA'. Stop ai contributi.

Current biofuels do not add to the sustainability of transport
Press release; 4 March 2008
The climate has more to gain from converting biomass into electricity, than to use it to replace petrol or diesel. Therefore, proposals to replace current transport fuels by biofuels are not the best investment in sustainability. This is shown in the report " Local and global consequences of the EU renewable directive for biofuels: testing the sustainability criteria" by the Netherlands Environmental Assessment Agency. The findings from this study will be presented to the European Parliament, today.


biofuels do not add to the sustainability of transport


Il documento in formato PDF di 952kb è Q U I

Mattanza di un ecosistema

Dall'Espresso del 14 marzo 2008
L'inarrestabile processo di distruzione del substrato che ci ospita continua, ultima follia della nostra specie. Forse si parla più spesso di aria, o di terra, questa volta è il turno delle brutte notizie sull'acqua, fiumi e falde lombardi sono in pessimo stato.


Acqua velenosa

di Emiliano Fittipaldi
Nel fiume Ticino è allarme cadmio, cromo, ammoniaca, azoto. In dosi fuori limite. E altri inquinanti nei bacini idrici in provincia di Milano e Pavia. Scoperti dal Corpo forestale.
Il depuratore di Nosedo (foto Prospekt)
Nel 1997 i Mondiali di Pesca all'oro hanno fatto tappa nel Ticino. Gli organizzatori sono andati a colpo sicuro: le preziose pagliuzze scendono dalle Alpi dalla notte dei tempi, e le gesta dei cercatori (migliaia di schiavi assoldati dall'Impero romano, in verità) le ha già raccontate Plinio il Vecchio. Oggi una nuova corsa è inimmaginabile: si calcola che il fiume trasporti ogni giorno micro-pepite per un valore oscillante tra i 5 mila e i 10 mila euro, poca cosa. Ma di sicuro, se si organizzasse una nuova tappa del campionato, oggi nelle padelle non finirebbe il nobile metallo giallo, ma perniciosissimi (e invisibili) metalli pesanti. Che, in aggiunta a decine di altre sostanze tossiche, formano un menù killer per la flora e la fauna dell'ecosistema. Cadmio, azoto ammoniacale e cromo esavalente sono solo alcuni degli inquinanti ritrovati in quantità superiori ai limiti dai tecnici del Corpo forestale dello Stato, che hanno messo sotto osservazione la parte di fiume vicino Morimondo. Un comune ridente, al di là del nome, e famoso per i suoi prodotti biologici: siamo all'interno del Parco della Valle del Ticino, annoverata dall'Unesco tra i patrimoni dell'umanità.

"Mancanza di depuratori, scarichi urbani, agricoli e industriali hanno messo in serio pericolo la salute delle acque. E chi si fa il bagno nel fiume lo fa a suo rischio e pericolo", dice Elisabetta Morgante, vice-questore aggiunto della polizia scientifica ambientale. Non solo ignari canoisti e pescatori e altri habitué del Ticino, ma anche chi va nelle toilette di alcune fabbriche di Abbiategrasso, senza saperlo, mette a rischio la propria incolumità. A pochi chilometri da Milano, infatti, gli agenti del Corpo hanno scoperto che l'acqua che esce dai rubinetti di alcune fabbriche di un grosso insediamento industriale (circa 20 fabbricati in periferia) è avvelenata. Dipendenti, operai e dirigenti si lavano con il cadmio, il nichel e il piombo, metalli trovati sia nelle condutture dei bagni sia nelle fognature del quartiere. Anche in provincia di Pavia, ad Albuzzano, le indagini del laboratorio mobile hanno scoperto situazioni al limite. Le acque nere di un nuovo complesso residenziale del paese finiscono dritte dritte nei canali di irrigazione dei campi. A parte il tanfo, fastidioso ma innocuo, l'acqua corretta a fenolo e nichel penetra nel terreno dove si coltivano foraggio e cereali. Mais e grano che si trasformano in pane e pasta.

Chi crede che la Lombardia, la zona più ricca e sviluppata d'Italia, sia immune dagli effetti dell'inquinamento selvaggio e dell'antropizzazione sbaglia di grosso. I fiumi della regione sono molto sporchi: secondo gli ultimi dati resi noti dell'Agenzia di protezione dell'ambiente il 32 per cento dei corsi d'acqua è 'scarso' o 'pessimo', e le falde primarie, quelle più in superficie, sono praticamente compromesse. Come la Lombardia, anche il resto della Pianura Padana conserva nel sottosuolo nitrati, metalli e pesticidi in quantità massicce. "Si pensa agli effetti della diossina a Napoli e alle falde acquifere del Sud, ma anche qui abbiamo seri problemi", spiega Damiano Di Simine, presidente regionale di Legambiente: "Dieci milioni di abitanti, sette milioni tra suini e bovini, insediamenti zootecnici e industriali hanno un impatto pesante. Se il Seveso e l'Olona non viaggiano dentro zone agricole, l'inquinatissimo Lambro viene usato tuttora per irrigare i campi. Una bomba biologica". Nel Bresciano le industrie di fucili e chiodi della Val Trompia scaricano nel fiume Mella, che bagna filari di ortaggi e frumento. Un corso che ha sparpagliato la diossina prodotta dalla Caffaro di Brescia per mezza provincia.

La Lombardia è in ottima compagnia. I dati Apat disegnano un quadro a tinte fosche di tutte le acque tricolori. Quella potabile è in genere di ottima qualità, ma le riserve blu del sottosuolo e i corsi in superficie sono, in parte, contaminati, come mostrano la tabellla qui a fianco, e come spieghiamo nel dettaglio nell'articolo di pagina 53. Con un trend decisamente negativo: rispetto al 2003, l'acqua delle falde inquinata per mano dell'uomo passa dal 21,5 al 28 per cento, mentre il liquido di classe 1 e 2, il più pregiato, diminuisce di tre punti.
(13 marzo 2008)


lunedì 10 marzo 2008

Zinasco e Rivalta Scrivia: sono troppi 2 impianti per l'agroenergia nel sud ovest padano. Lo dicono anche gli agricoltori

I carburanti ricavati dai vegetali sono sempre di più sotto osservazione. I dubbi riguardano:
l'effettiva minore emissione di gas serra, la "concorrenza" con le produzioni destinate all'alimentazione umana e animale e il conseguente aumento dei prezzi di queste ultime, la pressione sui suoli naturali con annesse deforestazioni.
Scontiamo una moda nata qualche anno fa, quando l'agroenergia sembrava una ricetta buona comunque e dovunque. Ora c'è chi parla di crimini contro l'umanità in relazione ai biocarburanti (Jean Ziegler, ONU), una cosa è ricavare energia dagli scarti delle produzioni agricole, un'altra è coltivare ad hoc. Una cosa è importare olio di palma dalle nazioni che stanno distruggendo il loro patrimonio forestale per questo, facendo viaggiare per migliaia di chilometri la materia prima, un'altra è dimensionare gli impianti sulle caratteristiche locali (per qualità e quantità della biomassa).

Nel sud ovest padano, a Rivalta Scrivia (Tortona) e a Zinasco (Pava), meno di 50 km in linea d'aria, 2 impianti per la produzione di etanolo sono in fase di progettazione. L'impianto di Rivalta avrebbe bisogno di 200 mila ettari coltivati a cereali, quello di Zinasco 50 mila, ma la disponibilità di ettari nel bacino di riferimento è enormemente inferiore, meno di un decimo. Anche in questo caso l'assenza di pianificazione genera mostri.

Dell'impianto di Zinasco (qui una scheda di Legambiente) ci eravamo già occupati per lo spreco di suolo connesso all'operazione: l'impianto di bioetanolo "sostituisce" infatti uno zuccherificio, ma invece che utilizzare l'area dismessa di Casei Gerola (area destinata a diventare un outlet) sacrifica ottimo suolo agricolo a Zinasco.
Italia Zuccheri, regista dell'operazione e proprietaria dell'area, usufruisce di ingenti finaziamenti, italiani ed europei (per la bonifica dell'area dismessa, per la costruzione del nuovo impianto, per la sua gestione). Sarebbe così strano pretendere che i progetti foraggiati dai nostri soldi fossero un po' più "virtuosi"?

Un convegno a Salice Terme ha messo a confronto esperti e agricoltori.


Dalla Provincia Pavese del 9 marzo.

«Due impianti? Non basta la produzione»

I cereali locali dovrebbero rifornire le aziende di Zinasco e Tortona

VOGHERA. «Due impianti per produrre bioetanolo tra Oltrepo e basso Piemonte? Ad oggi sono troppi...». Gianluigi Stringa, ex presidente dell’Unione agricoltori allarga le braccia ma lancia nello stagno dell’economia un sasso di discrete proporzioni. A fornire i dati sulla produzione di energia rinnovabili in provincia è l’assessore all’ambiente Ruggero Invernizzi: «3 megawatt alimentati a biogas, 43 megawatt alimentati ad oli vegetali, 20 megawatta alimentati a miomasse solide». «Ma non tutti gli impianti - aggiunge - sono alimentati da materia prima prodotta in loco». A questo si riferisce Stringa. «La Oxem di Mezzana Bigli produce biodiesel da oleaginose - spiega -. Gli impianti per la produzione di bioetanolo di Tortona e Zinasco produrranno bioetanolo da cereali. Almeno fino a quando la tecnologia non consentirà di utilizzare anche la cellulosa...». Il punto è qui: solo per far funzionare l’impianto di Tortona servono 200mila tonnellate l’anno di cereali: la produzione, ai livelli attuali, di 200mila ettari. Una quantità impensabile per l’Oltrepo e il basso Piemonte. Il problema è doppio: in primo luogo, secondo Stringa, gli ettari coltivabili non basterebbero ad alimentare due impianti per il bioetanolo; e in secondo luogo, la corsa all’acquisto di cereali per produrre carburante falserebbe i prezzi di mercato. La via d’uscita? Stringa è in pieno accordo con Radice Fossati: la sfida è raggiungere in tempi rapidi una tecnologia che consenta di utilizzare la cellulosa per produrre bioetanolo. Utilizzare gli scarti per produrre energia liberano spazio per le produzioni alimentari». (s. ro.)


Carburante dai campi, la sfida dell’Oltrepo

Esperti e agricoltori a convegno a Salice Terme «Possiamo avere il primo distretto energetico»

La proposta del futuro: coinvolgere l’industria senza rubare spazio alla filiera alimentare SALICE. Un distretto energetico in Oltrepo, il primo in Italia, per rilanciare l’agricoltura, far riprendere l’industria, tutelare l’ambiente. Tutto insieme? Forse. Tutto subito? Entro quattro o cinque anni. La ricetta arriva dal convegno sull’energia da fonti rinnovabili agricole organizzato all’hotel President di Salice dal consorzio «Agroenergia» con le associazioni di categoria. La ricetta si riassume in tre righe: imparare dal passato, anticipare l’innovazione, programmare il futuro.
La sfida, come la riassume l’ex presidente dell’Unione agricoltori Federico Radice Fossati, è produrre energia utilizzando materie prime agricole senza rubare spazio e risorse alle produzioni per l’alimentazione.
Imparare dal passato. Lanciando l’allarme sulla difficoltà di trovare “cervelli” disposti a lavorare sul territorio, la settimana scorsa, il portavoce degli industriali d’Oltrepo Bruno Calzolai ricordava che «L’industria è cresciuta quando ha collaborato con l’agricoltura, settore a cui l’Olrepo è tradizionalmente vocato». Due esempi per tutti: lo zuccherificio e le aziende conserviere che hanno fatto la fortuna economifca del territorio. Ora, però, lo zuccherificio è chiuso e il settore della trasformazione alimentare non “tira” più come un tempo.
Anticipare l’innovazione. E’ ancora possibile far lavorare insieme agricoltura è industria? «Non è solo possibile - risponde secco Federico Radice Fossati -. Oggi più che mai è necessario lavorare in questa direzione. L’agroenergia, ovvero la produzione di energia compatibile con l’ambiente da fonti rinnovabili agricole, è la strada da seguire per dare reddito alle aziende, creare nuove industrie, tutelare il territorio e l’ambiente». I critici, però, dicono che oggi l’energia prodotta da fonti rinnovabili costa molto più di quella “tradizionale”. «E’ un settore in profonda trasformazione - ribatte Radice Fossati -. Sarebbe un errore puntare su un solo podotto come materia prima per produrre energia. Oggi si produce biodiesel dalle oleaginose come colza, girasole e soia e bioetanolo dai cereali. Entro pochi anni, quattro o cinque secondo gli esperti, il bioetanolo si potrà produrre dalla cellulosa: legno, certo, ma anche paglia e scarti del mais. Materia che oggi si butta. A breve si scatenerà una rivoluzione: quelli che oggi sono rifiuti diventeranno materia prima per produrre carburante ed energia. Crescerà la produttività dell’industria e sarà necessario utilizzare meno terreno per produrre la materia prima. Ci sarà spazio sia per la produzione destinata al mercato alimentare che per quella destinata al mercato energetico».
Programmare il futuro. Ottimizzare le risorse e risparmiare territorio: la sfida passa di qui. Produrre energia da fonti rinnovabili che costi meno di quella da fonti tradizionali (ed oggi molto spesso non è così), ed utilizzare meno risorse naturali possible. Come fare? «Si tratta di far lavorare insieme agricoltura, industrria e ricerca universitaria e pubblica - risponde Radice Fossati -. Mobilitare tutto il territorio per arrivare ad una svolta che potrebbe mettere l’Oltrepo in una posizione di avanguardia».