domenica 23 dicembre 2007

Nomine San Matteo. Il peggio accade.

Viene nominato Pietro Caltagirone.
Ecco la rassegna stampa del 22/12 dalla Provincia Pavese e dal Corriere sella Sera, precedute dal comuncato stampa diffuso dagli Amici di Beppe Grillo di Pavia

Comunicato.

Formigoni ha proposto di nominare un pregiudicato come direttore generale del San Matteo.
Il consiglio di amministrazione non ha avuto nulla da dire, a parte il tentennamento di uno dei consiglieri (Mazza - PD) che si è astenuto.
Prendiamo atto di questa scelta che offende il San Matteo e l'intera città.

Come conferma lo stesso direttore fresco di nomina in una intervista alla Provincia pavese del 22 dicembre, sul suo capo pende una condanna a due anni per falso e abuso di ufficio, condanna che ha passato i tre gradi di giudizio ed è stata confermata in Cassazione.
La vicenda riguarda le irregolarità compiute in un appalto per forniture informatiche in cui il DG, all'epoca al Niguarda, aveva fatto in modo che la fornitura venisse assegnata ad un "imprenditore amico". Per non dover procedere ad una vera e propria gara, l'aveva inoltre suddivisa in più lotti, compiendo un'azione contraria alla legge. Non si tratta di una questione da poco e inoltre attiene specificatamente il ruolo istituzionale di un DG.

Dopo averci assuefatti in questi anni alle nomine politicizzate il sistema della sanità lombarda ha fatto un passo avanti e sfondato un'altra soglia psicologica, sdoganando i condannati.

Non c'erano altre soluzioni? Tra i circa cinquecento candidati per 50 posti tra ASL, ospedali e istituti di ricerca (IRCSS), non se ne trovava uno con un curriculum giudiziario decente?

Per quanto ci riguarda continueremo nella nostra operazione di informazione confidando in una reazione della città. E parliamo dei singoli cittadini perchè per le forze politiche e per le istituzioni pavesi questa nomina sembra che vada benissimo.

Gli Amici di Beppe Grillo di Pavia


E qui sotto le notizie

Dal Corriere del 22/12/07

Il caso: 2 anni per abuso d’ufficio non hanno impedito la “promozione” di Caltagirone

POLTRONE, LA CONDANNA NON E’ UN OSTACOLO

Una condanna definitiva a 2 anni (con la sospensione condizionale) per i reati di abuso d’ufficio e falso ideologico non ha avuto ripercussioni sulla nomina di Pietro Caltagirone al San Matteo.

Quando la Regione Lombardia tempo fa ha riscritto i criteri di idoneità alle nomine dei manager della sanità, tra i requisiti ostativi ha inserito le condanne definitive per una serie di reati.

Tra essi, però, non c’è l’abuso d’ufficio; e, se a impedire la nomina, può essere una sentenza di condanna per falso materiale, non è invece un ostacolo la condanna (come nel caso di Caltagirone) per falso ideologico.

Il processo conclusosi in primo grado nel 2003 e poi approdato in Cassazione nel 2005 aveva scandagliato i rapporti tra la società d’informatica Easycard srl amministrata dall’imprenditore Franco Maggiorelli (nel frattempo morto) e il mondo della sanità pubblica cittadina nel 1998.

L’accusa, sostenuta dal pm Francesco Prete, contestava le modalità di assegnazione dell’auditing informatico da 250 milioni di lire per l’Asl Città di Milano, per il Fatebenefratelli, e per l’Ussl 36di cui era commissario straordinario Caltagirone, poi direttore generale del Niguarda.

Maggiorelli (già consigliere dell’Inter e teste nelle inchieste sulla cerchia di amici dell’ex pm Di Pietro) obiettava che l’assegnazione dei lavori di auditing sarebbe stata corretta anche a trattativa privata; mentre i manager della sanità pubblica rivendicavano di avere fatto risparmiare soldi rispetto alla gara pubblica.

Ma il tribunale (collegio tutto femminile, Gandus-Lacaita-Vitale), con sentenza confermata in Cassazione, aveva ritenuto, in base ad atti amministrativi e intercettazioni, che Maggiorelli fosse stato privilegiato sin dall’inizio, in una trattativa privata appena abbellita dall’invito rivoltogli dai manager ospedalieri a “scritturare” almeno altre due aziende partecipanti.

Caltagirone non si è arreso neppure davanti alla Cassazione: davanti alla Corte europea di giustizia, infatti, pende un suo ricorso su un prospettato errore di diritto nella sentenza, che l’ordinamento italiano non permetterebbe di rimuovere.

Luigi Ferrarella

lferrarella@corriere.it

Dalla ProvinciaPavese del 22/12/07




Nomina lampo per Caltagirone

Scelto da Formigoni e accettato dal consiglio ieri pomeriggio In tarda serata si è già insediato il nuovo direttore generale

PAVIA. Pietro Caltagirone è il nuovo direttore generale del San Matteo. Si è insediato ufficialmente ieri sera e stamattina sarà già nel suo nuovo ufficio pavese. Poco prima delle 21 il consiglio d’amministrazione ha votato quasi all’unanimità (con la sola astensione di Giancarlo Mazza, ds) il nuovo manager, proveniente dall’azienda ospedaliera di Lecco. Tra i primi designati dal presidente della Regione, Roberto Formigoni, nel giro di valzer dei direttori generali lombardi. Dalla riunione al Pirellone di ieri pomeriggio sono uscite le nomine di due ircss, San Matteo di Pavia e Besta di Milano. Entro il 31 dicembre saranno assegnate le altre 47 poltrone strategiche della sanità lombarda, compresa l’Asl pavese (Maurizio Amigoni dovrebbe spostarsi proprio a Lecco e Luigina Zambianchi, direttore sanitario al policlinico forse a Cremona).

L’indicazione di Formigoni è stata trasmessa in serata dal presidente della fondazione, Alberto Guglielmo, ai consiglieri.
Nel salone illuminato a festa a un’ora inconsueta per il San Matteo il nuovo direttore generale ha stretto la mano a Maurizio Niutta che ha traghettato il policlinico da novembre - data in cui lo “storico” dg Giovanni Azzaretti se ne è andato, dopo un lungo e travagliato scontro al vertice - fino a ieri. Niutta, legato alla famiglia di Forza Italia ma non fedelissimo dell’assessore regionale Giancarlo Abelli, tornerà - «già questa mattina» dice - nel suo ufficio alla direzione generale dell’Asp, l’azienda servizi alla persona dalla quale era in aspettativa. Con una e-mail, fatta circolare tra i dipendenti, Niutta «ringrazia tutti». In questo breve periodo, scrive, «anche se non ho potuto incontrare materialmente tutti, ho compreso la grandezza, l’importanza e la strategicità di questo ospedale. Ma chi lo rende grande siete voi». (m.g.p.)




«Subito al lavoro, qui c’è tanto da fare»
Nel suo ufficio già da questa mattina. E presto arriva il suo staff

MARIA GRAZIA PICCALUGA




PAVIA. Sarà un Natale di lavoro per Pietro Caltagirone che stamattina si insedia nel suo nuovo ufficio al San Matteo. Chiudendo una fase travagliata del policlinico. E aprendone una nuova «perchè - dice - a me le avventure piacciono. So che qui c’è tanto da fare ma così è anche più stimolante».
Medico igienista, specializzato proprio all’Università di Pavia con il professor Cesare Meloni, Caltagirone ha alle spalle esperienze di peso nelle asl milanesi, al Niguarda e all’azienda ospedaliera di Lecco dove ha compiuto una rivoluzione organizzativa. «Al 3º posto in Italia nella classifica del Sole 24 Ore per capacità di attrazione dell’utenza e per una gestione che si prende cura del paziwente a 360 gradi» spiega.
La sua squadra per Pavia è già pronta?
«Marco Bosio, igienista con una lunga esperienza in Regione, sarà il direttore sanitario. Negli ultimi 5 anni ha lavorato bene a Lecco, in staff, sul servizio di qualità che, da quanto ho visto, qui non esiste. Potremmo metterlo in piedi. In direzione amministrativa si insedierà Isabella Galluzzo, che negli ultimi 14 anni ha lavorato con me».
Che idea si è fatto del San Matteo?
«Preferisco farmela conoscendo l’ambiente di persona, entrando dentro il sistema. Le cose riportate non rispondono sempre al vero».
Lei arriva al termine di una fase non serena...
«Mi dicono che ci sono dei problemi: carenza di infermieri, rapporti da ricostruire con i sindacati, sinergie da creare con le altre realtà sanitarie del territorio. Verifichiamoli. La fama di questo ospedale però arriva anche oltre confine. So che è una cittadella sanitaria e per me questa è la prima esperienza in sinergia con un’Università. Sarà interessante».
I “grillini” hanno contestato la sua nomina per una condanna penale ai tempi del Niguarda. Lo sa?
«I detrattori usano questa informazione parzialmente, non dicono tutto. Si limitano a parlare di abuso d’ufficio e falso, ma non dicono che lo stesso pubblico ministero ha sfrondato tutte le altre accuse. Nella stessa sentenza venne confermato che non è stato prodotto alcun danno al Niguarda e che l’errore fu di tipo procedurale. Non dicono neppure che è stata concessa sospensione della pena e non menzione. Io comunque preferisco farmi conoscere sui fatti e sul lavoro, piuttosto che per le polemiche».
Conosce il suo predecessore, Giovanni Azzaretti?
«Di vista. Non conosco nessuno qui a avia e credo sia la mia fortuna».
Rimarrà solo un anno e mezzo, fino alla scadenza del consiglio. Un azzardo o un investimento?
«Una scommesa direi, credo molto nel progetto del nuovo San Matteo. Sono grato a Formigoni per questa ulteriore opportunità che mi ha dato. La mia nomina esce da un confronto con l’assessore Abelli che ha sempre creduto nel mio lavoro, riconoscendomi i risultati».




IL CASO
Al voto il Pd si è diviso



PAVIA. L’ha ammorbidita con intenti propositivi e dichiarazioni di fiducia ma l’astensione del consigliere Giancarlo Mazza (Ds) è arrivata come previsto. Non ha seguito invece gli ordini di scuderia del Pd il consigliere Ettore Filippi che, motivando la sua decisione, ha dato il suo voto al nuovo direttore generale.

giovedì 6 dicembre 2007

Iniziativa Ospedale Pulito

Al grido simbolico di OSPEDALE PULITO nei prossimi giorni gli Amici di Grillo volantineranno di fronte al presidio ospedaliero per sensibilizzare tutti – personale medico, paramedico e amministrativo, utenti e cittadinanza in genere – sull’importanza della scelta cruciale che verrà fatta a giorni in Regione.

Consapevoli dell’enorme rilevanza del ruolo che il San Matteo occupa sul territorio locale e nazionale e della necessità di una sua gestione trasparente ed efficace, gli Amici di Grillo hanno preparato una letterina per Babbo Natale in cui chiedono di portare in dono alla città un candidato che sia preparato, all’altezza dell’incarico e soprattutto onesto, senza precedenti condanne alle spalle.

A tal proposito chi volesse sottoscrivere l’appello lanciato nella missiva natalizia può farlo via mail attraverso l’indirizzo ospedalepulito@gmail.com.

Le firme saranno successivamente inviate al presidente lombardo Formigoni perché tenga conto della richiesta al momento della delicatissima nomina.


Volantino


Caro Babbo Natale,
la Regione Lombardia entro il mese di dicembre
dovrà indicare il nome del candidato idoneo alla carica
di Direttore Generale del Policlinico San Matteo.
Non si tratta di un ospedale qualsiasi: il San Matteo è una delle delle istituzioni più
importanti per la nostra città, un vero e proprio “biglietto da visita”, un simbolo che
vanta secoli di storia.
Caro Babbo Natale, noi cittadini quest’anno
ci siamo comportati bene.
E abbiamo cercato, nelle nostre attivita’,
di far riemergere il VALORE
(sempre piu’ sfumato e impalpabile)
della LEGALITa’.
Per questo confidiamo nel tuo operato e ti chiediamo di regalare tanto senso civico
e saggezza al presidente della Regione Lombardia, a cui spetta il difficile compito.
Aiutalo tu a scegliere il candidato migliore!
Ovviamente, oltre che meritevole, ci piacerebbe anche un candidato
ONESTO, AFFIDABILE,
E SENZA PRECEDENTI CONDANNE.
Siamo certi che nella rosa dei candidati ci siano persone
con tutte queste qualità, per noi decisive.
Grazie di cuore.
Gli amici di Beppe Grillo di Pavia.
Se vuoi anche tu sottoscrivere questa richiesta a Babbo Natale invia una e-mail a
ospedalepulito @gmail.com
indicando: cognome, nome, professione (se vuoi) e comune di residenza.
L’elenco dei firmatari verrà recapitato al Pirellone.


mercoledì 5 dicembre 2007

Di quella volta che Luigi Zunino ha venduto l'ex Fiat-Avio ...

Ennesima brutta storia dall'area grigia a cavallo tra imprenditoria e politica.
Nello scambio di favori vengono illegalmente generate plusvalenze milionarie, prelevate direttamente dalle nostre tasche. La misura è colma ma il fenomeno sembra inarrestabile.

Grazie al Circolo Pasolini Pavia da cui riprendo l'articolo
Autore: Irene Campari

"Luigi Zunino, presidente del gruppo immobiliare Risanamento, è stato rinviato a giudizio e verrà processato il 22 maggio per truffa nei confronti della Regione Piemonte. L'ha deciso ieri (il 2 dicembre ndr) il GUP accogliendo la tesi dell'accusa. Nel 2004 l'immobiliarista ha acquistato da Fiat l'area dell'ex Fiat Avio per 26,2 milioni di euro e nel giro di poco tempo l'ha rivenduta all'ente pubblico per 51,4 milioni. Ma non è tutto. Ad aggravare la posizione di Zunino sarebbe anche il fatto di aver fornito alla Regione Piemonte copie del rogito precedente con il prezzo cancellato e dichiarato invece che il valore era di 46 milioni. Infine, in sede di contratto preliminare il manager avrebbe indicato a carico dell'ente i costi della bonifica del sito industriale, di circa 20 milioni. Il presidente di Risanamento sostiene che il truffato sia lui e che comunque un'operazione da 50 milioni per lui non è gran cosa." Questa la notizia riportata da "La Stampa" il 21 novembre 2007. Noi aspettiamo la sentenza definitiva, perchè siamo garantisti. Intanto ci informiamo e pensiamo.
Luigi Zunino ha una predilezione per le aree dismesse. A Sesto San Giovanni sta costruendo nell'area ex Falk (progettista Piano) comperata dal Gruppo Pasini dal quale ha acquistato il 100% di Immobiliare Rubina per 88 milioni di euro nel 2005, a Milano Santa Giulia sta costruendo il quartiere Montecity Rogoredo (progettato da Foster) che costerà 2,8 miliardi di euro, ad Asti nell'area ex Snia, la Tradital ha costruito il suo supermercato. Ma sono solo esempi presi qua e là. Per se stesso si sta ristrutturando un attico a New York del valore di 56 milioni di euro, progettato da Renzo Piano. Ha interessi solidi anche a Pavia. E' proprietario diretto di 44.000 mq all'area ex Snia Viscosa, tramite la società Tradital spa interamente controllata da Risanamento, la sua ammiraglia. Della Tradital sono gli edifici di archeologia industriale della ex Snia vincolati dal PRG, uno dei quali è stato abbattuto, su ordinanza del Sindaco Capitelli, il 25 luglio 2007. Il pretesto era l'incolumità dei Rom che avevano le baracchine là sotto; cittadini Rom che sono poi stati cacciati da Pavia senza preoccuparsi troppo della loro sorte. Quell'abbattimento era illegittimo, e i Rom un pretesto per demolire; cittadini e associazioni, tra i quali il Circolo Pasolini, per la salvaguardia dei due edifici rimasti, hanno presentato due esposti alla Procura generale, e denunciata la demolizione illegittima dell'edificio già abbattuto (la Procura è arrivata sul posto a mezzogiorno del 25 luglio, a demolizione già avvenuta e sequestrando l'area). Nel luogo dov'era l'edificio abbattuto (risalente al 1907) è prevista la costruzione di una parte di un centro commerciale di 9.000 mq frazionato in più aree, che dovrebbe realizzarsi nella parte più vicina a Viale Montegrappa.
La notizia proveniente dalla Procura di Torino contiene spunti interessanti per comprendere i legami e i rapporti tra pubblica amministrazione e immobiliaristi: la compromissione con l'amministrazione locale che accetta di ricomperare a prezzo esorbitante un'area che avrebbe potuto acquisire prima e a un prezzo enormemente più vantaggioso, e i costi di bonifica che Zunino vorrebbe, nel caso di Fiat-Avio, accollare all'Ente pubblico. Non è una novità che le amministrazioni comperino da imprenditori amici immobili e società a prezzi irragionevoli. La Provincia di Milano aveva comperato quote per più di 200.000 € della Milano-Serravalle dal Gruppo Gavio, per poi vendergli due anni dopo le proprie quote della Sabrom, la società che gestisce il piano preliminare dell'autostrada Broni-Mortara. Va da sé che questi imprenditori fanno un po' quello che vogliono. Il Piano per l'ex snia Viscosa di Pavia era in Internet dal 2005, illustrato nei piani aziendali di Risanamento spa. A Pavia ancora a marzo 2007, si diceva che non se ne sapeva nulla. Ma Luigi Zunino a Pavia non ha solo quell'interesse. Tra società controllate e partecipate e quelle amiche, le aree che si possono ricondurre a lui e alla sua cerchia sono ampie molte migliata di metri quadrati, anche di logistica.
Per la bonifica, anche alla ex Snia c'è un enorme problema, sul cui costo l'amministrazione dovrà andare a trattare con la proprietà. Di solito, se la bonifica dei suoli costa molto, il proprietario vorrà costruire qualcosa di molto redditizio, oppure, chiederà all'amministrazione locale di pagarsi la bonifica. A Pavia qualcosa di simile è accaduto per la piscina di Via Acerbi. All'ex Snia Viscosa, nella parte dell'area più inquinata è prevista la costruzione di una scuola....

martedì 27 novembre 2007

I numeri del consumo di suolo

La relazione al recente convegno sul “paesaggio italiano aggredito”, tenuto a Roma il 25 ottobre 2007, ricca di dati interessanti.


Autore:

Grazie a EddyBurg da cui riprendo l'articolo.

L’Italia sta vivendo una contraddizione stridente. Una delle tante, e però questa colpisce ad un tempo l’integrità già così intaccata del paesaggio italiano e la qualità già mediocre della condizione abitativa dei redditi più bassi.

Registriamo infatti ad un tempo un consumo di suolo libero (e quindi di paesaggio) letteralmente dissennato e una vera e propria emergenza alloggi per i ceti medi, mediobassi e bassi. Segno evidente che la frenetica attività edilizia che si è andata dispiegando negli ultimi anni riguarda costruzioni destinate quasi unicamente al mercato, per lo più alla speculazione, sovente nelle zone turistiche costiere e montane, con una risalita, ora, dal mare verso l’interno, cioè verso zone di grande pregio e bellezza come ad esempio, le valli toscane, marchigiane e umbre. Basta guardare la cartina – tratta da un Annuario dell’ISTAT – la quale fissa la situazione dell’Italia a pochi anni or sono. In essa vedete come il colore marrone scuro identifichi le zone più edificate e il colore verde quelle più libere o libere dal cemento: ebbene fra Venezia e Milano il verde è già sparito e domina il marrone. Ma è solo un esempio fra i tanti possibili.

Le cifre che riporto in allegato sul consumo di suolo libero in Italia sono infatti le più drammatiche che il Belpaese abbia mai allineato in materia di aggressione al paesaggio e alla straordinaria bellezza italiana. Sono le più drammatiche di tutta Europa, senza confronto. Riguardano l’ultimo quindicennio lungo il quale il ritmo di cementificazione e di asfaltatura dei suoli ancora liberi da infrastrutture e da costruzioni ha marciato al ritmo di oltre 244.000 ettari l’anno. Come non mai. In quindici anni abbiamo così consumato altri 3 milioni 663 mila ettari, cioè una regione grande più del Lazio e dell’Abruzzo messi assieme. Dal 195o una regione più grande dell’intera Italia Settentrionale. Con i ritmi più recenti si può prevedere che in capo a pochi decenni, intere regioni – comprese la Toscana e il Lazio – saranno in pratica un deserto di asfalto&cemento. Ciò non avverrà in questi termini e però l’erosione di un patrimonio immenso e irriproducibile (se non a costi enormi) è sin da ora garantita. Un’autentica pazzia. Che peserà inesorabilmente sui nostri figli, nipoti e pronipoti. In termini di imbruttimento, di involgarimento, di peggioramento dell’ambiente della vita, individuale e collettiva, di dissipazione di un patrimonio nazionale per secoli ammirato, la più formidabile, fra l’altro, attrattiva turistico-culturale da noi posseduta.

Non per caso siamo al primo posto, con la Spagna nella produzione e nel consumo di cemento, quindi con un’altra pesantissima ricaduta paesaggistica causata da cave legali e abusive per ogni dove. Nel Veneto si salvano a stento i Colli Euganei, protetti da un Parco regionale, ma altrove è un massacro, con cifre da primato. Dopo Spagna e Italia viene la Germania ma a grande distanza. Per non parlare della Francia. Questo consumo di paesaggio – a base di cemento, asfalto e cave – non ha riscontri in Europa tranne, ripeto, che in Spagna (dove la “febbre” edilizia si sta raffreddando con pesanti contraccolpi sull’economia in generale).
Esso infatti è reso impossibile da leggi illuminate nel Regno Unito (addirittura dagli anni ’30), in Germania o in Francia. E’ uscito in proposito nel luglio 2006 dall’editore Alinea un eccellente libro a cura di Maria Cristina Gibelli e di Edoardo Salzano “NO SPRAWL” che, in vari saggi, dà conto della situazione europea e nordamericana e della nostra arretratezza sul piano del dibattito e quindi delle misure da adottare.
Possiamo dire che, a livello nazionale, soltanto nel programma dell’Unione c’è un accenno ad una legislazione che consenta di combattere, assieme allo sprawl, cioè al disordine urbano, il dissennato consumo di suolo.

Nel citato volume Maria Cristina Gibelli espone i dati di una ricerca statunitense svolta fra Contee sprawl e no sprawl da un eminente specialista, Richard Burchell, in base alla quale una “crescita controllata” fa risparmiare un 25 per cento dei suoli (senza che l’attività edilizia ne risenta), 12,6 miliardi di dollari di risorse e allacciamenti idrici, fognature,ecc.(con la Villettopoli italiana tali l’acqua viene invece dissipata), un 11,8 per cento nelle infrastrutture stradali, un 7 per cento nei costi dei servizi locali e un 6 per cento nei costi di sviluppo immobiliare.
In Germania, come testimonia nello stesso libro, Georg Josef Frisch, “la necessità di invertire la tendenza di sottrazione di suolo al territorio aperto e rurale è stata riconosciuta per la prima volta dal governo tedesco nel 1985 nell’ambito dei principi di tutela del suolo”, ma nel 1998 l’allora ministro per l’Ambiente, Angela Merkel, oggi Cancelliere, ha posto l’obiettivo di una riduzione quantitativa dell’occupazione di suolo libero a fini urbani fissando la soglia a 30 ettari al giorno, cioè ad un quarto dei consumi in atto. Obiettivo ripreso dal successivo governo rossoverde. E in Germania il consumo di suolo, si badi bene, viaggiava allora al ritmo di 120 ettari al giorno, cioè di 43-44.000 ettari all’anno, un sesto appena dei nostri consumi più recenti.
Certo, il modello inglese di risparmio del suolo è il più antico e collaudato essendo il Regno Unito, del resto, il Paese nel quale è stata più forte e precoce la diffusione urbana. Ma l’allarme per l’erosione dei suoli liberi e/o agricoli venne fatto suonare oltre Manica già negli anni ’30 del ‘900 e si concretizzò nel 1946 col New Towns Act e l’anno seguente col Town and Countries Planning Act. Restrizione della crescita fisica potenziata– nota sempre Frisch – dalla individuazione delle “green belts”, cioè delle cinture verdi. Per cui dalla punta di 25.000 ettari consumati in dodici mesi negli anni ‘30 (un’inezia paragonata alle nostre cifre) Inghilterra e Galles sono scesi ad appena 8.000 ettari annui nel decennio 1985-96. Meno della metà di quanto da noi consuma in un anno la sola Toscana, tanto amata, e abitata, dagli inglesi.
In una intervista che comparirà sul numero in distribuzione del trimestrale d’arte e cultura il “Terzo Occhio”, da me diretto, e redatta da Violante Pallavicino, sir Richard Rogers, celebre architetto, con origini italiane, gran consulente di Tony Blair, fa rimarcare: “Ci tengo a dire che a Londra abbiamo avuto un incremento di popolazione di 1 milione di persone in 10 anni e non abbiamo toccato un solo metro quadrato di green field, la campagna intorno alla città. Abbiamo costruito su brown field, le ex aree industriali. Dal 2001 è legge nazionale: il 70 per cento di ciò che si decide di costruire, laddove esiste, deve essere su brown field, e a Londra il sindaco Livingstone sta arrivando al 100 per cento”.

Un sogno per noi italiani proiettati in tutt’altra direzione. Sciaguratamente. La classifica delle nostre regioni in cui questa devastazione ha corso più dissennatamente lascia trasecolati. Al primo posto infatti c’è la Liguria per la quale, già negli ’60, Giorgio Bocca coniò le espressioni “Lambrate sul Tigullio” e “rapallizzazione”.
Ebbene, nel quindicennio 1990-2005, la già disastrosamente cementificata Liguria è riuscita nell’impresa di “mangiarsi” quasi la metà delle superfici ancora libere. Seguita dalla Calabria che l’edilizia aveva già massacrato, specie lungo le coste, e che ha fatto fuori un quarto abbondante del territorio ancora libero. Si badi bene: le statistiche ufficiali non possono tener conto di quanto, in Calabria e nel Sud, si è divorato il cemento abusivo…Lo stesso in Campania, dove temo che si sia perduto ben più del 15,5 per cento (140mila ettari comunque) dei suoli liberi. Una ricerca pubblicata nel già citato volume “NO SPRAWL” (Antonio De Gennaro e Francesco P.Innamorato) parla di un aumento della superficie urbanizzata in quella regione pari al 321 per cento contro il 21,6 per cento di incremento della popolazione nel periodo 1960-98. In Sicilia ci si è “mangiati” oltre un quinto di territorio non ancora occupato, per cui l’isola risulta quarta in questa nera classifica, preceduta dall’Emilia-Romagna dove negli ultimi anni le gru sono fitte come una foresta, anche in zone collinari pregiate (come Bertinoro). Questa era stata una delle poche regioni a varare il piano paesaggistico voluto dalla illuminata legge Galasso del 1985. Cos’è successo da allora ad oggi? Quale mutazione genetica? Non scherzano nemmeno la Sardegna (nella quale l’attuale giunta Soru sta correndo, caso raro, ai ripari), il Lazio dove l’Agro Romano appare sempre sotto tiro, il Piemonte, la deregolata Lombardia, Abruzzo e Molise, la stessa Toscana.

Ovunque vengono erosi terreni agricoli importanti, spesso i più fertili in pianura e nella prima collina per cui in tutta Italia le aree a coltivo o a prato o a bosco non costruite appaiono come terreni in attesa di reddito edilizio e non altro. La campagna diventa così periferia urbana.

Fra i censimenti agricoli del 1990 e del 2000 la superficie totale, cioè libera da costruzioni e infrastrutture, è diminuita di 3,1 milioni di ettari nell’ambito dei quali 1,8 milioni erano SAU, cioè superfici agricole utilizzate. Questa situazione di grande allarme viene puntualmente confermata dalle statistiche – peraltro ferme al 2003 purtroppo – sui permessi di costruzione, quindi sull’edilizia legale, i quali per le sole residenze ammontano in quell’annata a più di 800.000 stanze, contro le 695.000 di due anni avanti. Il trend dell’industria delle costruzioni è risultato in continua ascesa nell’ultimo periodo: dal 2001 ad oggi il suo indice destagionalizzato è balzato da 106,37 a quasi 129 con un incremento superiore al 21 per cento. Ed è stato tale da influire sul PIL in misura decisiva. Senza questo “boom” diffuso di gru edilizie per ogni dove, non ci sarebbe stata infatti alcuna crescita del Prodotto Interno Lordo o, nel 2003 e nel 2005, il segno sarebbe stato addirittura negativo.
E’ cresciuto enormemente il volume degli investimenti nell’edilizia residenziale (da 58 ad oltre 71 miliardi di euro nel periodo 1999-2005) e lo stock di seconde e terze case è arrivato a rappresentare 1/5 di tutte le abitazioni esistenti: quasi 6 milioni su di un totale di 28,7 milioni di abitazioni. Fenomeno incoraggiato dal favore col quale i Comuni hanno guardato a questa “febbre” edilizia.
Favore causato dai pingui introiti che, almeno provvisoriamente (alla lunga si vedrà), le nuove costruzioni residenziali e non hanno loro consentito e che una sciagurata Finanziaria del 2001 (fissiamo bene questa data) ha loro permesso di impiegare come spesa corrente e non più soltanto come spesa per investimenti. Come prima era previsto, saggiamente dalla legge Bucalossi, e come si dovrebbe tornare a fare. Ma come per ora non si fa.

Gioco pericolosissimo soprattutto in quelle regioni, come la Toscana, dove i Comuni sono stati sub-delegati alla tutela del paesaggio, loro che – soprattutto col taglio di risorse prima aflluenti dal centro – hanno tutto l’interesse ad usare l’acceleratore per le nuove costruzioni e a lasciare inutilizzato il freno della tutela del paesaggio.

Un conflitto schiacciante di interessi nel quale finisce in mezzo, stritolato, il bene comune del paesaggio.

Tutto ciò avviene con una popolazione italiana che cresce pochissimo e che reclama, semmai (giovani coppie, immigrati, ecc.), alloggi economici.

Ecco insorgere la nuova emergenzacasa. Gli 11 milioni di italiani che vivono in case d’affitto – e i molti altri che vorrebbero viverci - sono infatti vittime di una politica che ha praticamente abbandonato da anni a se stessi i ceti più deboli senza più investire nell’edilizia sociale, economica o comunque convenzionata (soltanto ora il governo Prodi vara un piano-casa da 550 milioni di euro, ma per il solito acquisto affannoso di alloggi nuovi già costruiti da destinare, in primo luogo, alle migliaia di famiglie sfrattate).
Siamo lontani, ancora una volta, dall’Europa più civile e avanzata. Se avrete la pazienza di scorrere l’allegato statistico, vedrete come l’Italia sia ad uno degli ultimi posti come disponibilità di alloggi in locazione: terz’ultima col 19 per cento sul totale contro il 31 per cento del Regno Unito, il 38 della Francia, il 39 di Austria e Svezia, il 45 dell’Olanda e addirittura il 55 per cento della Germania. Discorso del tutto simile per gli alloggi sociali che da noi rappresentano appena il 4 per cento dello stock di alloggi contro il 18 della Francia, il 21 di Svezia e Regno Unito e il 35 dell’Olanda.

E anche sul complesso delle locazioni, ovviamente, la nostra quota di alloggi sociali è fra le più modeste. Del resto, i promotori delle nuove iniziative immobiliari sono oggi soprattutto le imprese stesse, seguite dai privati singoli, con le cooperative la cui presenza risulta però dimezzata rispetto a qualche anno addietro, mentre l’intervento pubblico precipitato nel 2004 ad un vergognoso 1 per cento.
Sembrano remoti gli anni ’70, quelli della “casa vertenza di massa” e della legge sulla casa, per l’appunto. Parallelamente galoppano gli sfratti. Governo e Comuni tamponano le ferite sociali coi “bonus” (che vanno in tasca ai proprietari di case).

L’indebitamento bancario degli italiani e degli immigrati è salito a passi da gigante per l’acquisto forzoso di alloggi: dai 41 miliardi di euro del ’97 agli 80 miliardi del 2000 per balzare a 160 miliardi di euro nel 2004. Con molte sofferenze nel versamento delle rate (circa il 20 per cento) e non poche ripercussioni per la crisi ora in atto. Non come in Spagna e però con scricchiolii preoccupanti.

Una massa enorme di risparmi convogliata forzosamente sull’edilizia di mercato o speculativa per mancanza di valide alternative praticabili nel settore degli affitti e dell’edilizia economica e popolare. Un risparmio che in altri Paesi più avanzati e moderni è stato canalizzato verso impieghi ben più producenti: per l’economia in generale e per i risparmiatori. Qui costretti per una vita a pagare la casa di proprietà. Coi contraccolpi che sappiamo sul paesaggio, anche su quello più conservato.

Come rimediare? Anzitutto prendendo coscienza di questa folle corsa all’autodistruzione del Belpaese, e poi varando leggi severe per il consumo di suolo, agevolando grandemente il restauro e il recupero dell’edilizia già esistente, redigendo, e soprattutto applicando, piani paesaggistici dettagliati e prescrittivi (altro che i piani di indirizzo della Regione Toscana), togliendo ai Comuni la delega alla tutela del paesaggio accordata loro, improvvidamente, da alcune Regioni (che si vantano così di essere molto “democratiche”), cancellando la possibilità, per gli stessi Comuni, di usare gli introiti da concessione edilizia, da spese di urbanizzazione, ecc. per finanziare la loro spesa corrente, tornando cioè alla legge Bucalossi la quale ne consentiva l’impiego soltanto per investimenti.

Diversamente, coi ritmi e coi meccanismi perversi attuali, nel giro di mezzo secolo, avremo coperto tutta l’Italia di cemento e di asfalto. Bella prospettiva davvero, per tutti. E anche un bell’affare per quanti vivono di turismo culturale e ambientale, di agriturismo, di prodotti agricoli tipici “spinti” indubitabilmente sui mercati esteri anche dai bei paesaggi in cui sono collocati. Un bell’affare per milioni di persone, per tutti. Tranne che per gli speculatori immobiliari Una corsa dissennata che la semplice conoscenza della letteratura “no sprawl” ormai divulgata anche da noi, al di qua di Chiasso (ricordate la famosa gita di Arbasino a Chiasso per sprovincializzarsi un po’?), dovrebbe portare a ridurre puntando sul recupero e sul riuso abitativo corretto dei centri storici a volte semivuoti o riempiti di residenze precarie e speculative, di locali e localetti, sull’utilizzo attento delle ex aree industriali dismesse o comunque del già costruito, e così via.

E’ vero che siamo ormai “un Paese spaesato” – come noi del Comitato per la Bellezza chiamammo l’Italia nel Libro Bianco del 2001 pubblicato col Touring Club Italiano, quando ancora era seriamente impegnato su questi temi – ma c’è un limite anche allo spaesamento e all’autodistruzione. C’è un limite alla follia e alla speculazione, alla cancellazione della storia.


SUPERFICIE TOTALE LIBERA (in ettari)
1990 2005 Var. in ettari Var. in perc.
ITALIA 21.466.040 17.803.010 - 3.663.030 - 17,06
Piemonte 1.679.630 1.370.760 - 308.870 - 18,39
Valle d’Aosta 164.880 149.350 - 15.350 - 9,31
Liguria 249.000 135.570 - 113.430 - 45,55
Lombardia 1.508.601 1.233.580 - 275.021 - 18,23
Prov. Bolzano 564.160 548.030 - 16.130 - 2,86
Prov. Trento 440.600 452.250 11.650 2,64
Veneto 1.248.070 1.094.350 - 153.720 - 12,32
Friuli-V.Giulia 441.630 377.960 - 63.670 - 14,42
Emilia-Romagna 1.676.320 1.306.010 - 370.310 - 22,09
Toscana 1.690.320 1.424.670 - 265.650 - 15,71
Umbria 661.150 593.710 - 67.440 - 10,20
Marche 773.620 682.500 - 91.120 - 11,78
Lazio 1.193.220 967.280 - 225.940 - 18,93
Abruzzo 783.290 644.520 - 138.770 - 17,72
Molise 333.620 275.040 - 58.580 - 17,56
Campania 929.890 789.890 - 140.000 - 15,05
Puglia 1.570.320 1.312.620 - 257.700 - 16,41
Basilicata 794.960 755.070 - 38.890 - 4,89
Calabria 1.031.700 762.140 - 269.560 - 26,13
Sicilia 1.798.070 1.402.720 - 395.350 - 22,00
Sardegna 1.935.240 1.525.010 - 410.230 - 21,20
Fonte, Istituto Centrale di Statistica
SEMPRE MENO CAMPI COLTIVATI FRA 1990 E 2000
Dal censimento agrario del 1990 a quello del 2000
la superficie libera da costruzioni e infrastrutture
si è ridotta di 3,1 milioni di ettari
dei quali 1,8 milioni di ettari di superficie agraria


PERMESSI DI COSTRUZIONE IN FABBRICATI RESIDENZIALI NELL’ANNO 2003
Regioni Abitazioni Stanze Accessori
Piemonte 14.204 (5) 52.036 41.391
Valle d’Aosta 447 1.463 1.290
Lombardia 47.699 (1) 160.969 143.226
Trentino-Alto Adige 5.043 17.892 17.921
Veneto 32.374 (2) 106.907 108.840
Friuli-Venezia Giulia 7.125 25.468 23.691
Liguria 2.163 7.524 5.949
Emilia-Romagna 26.981 (3) 87.171 76.920
Toscana 12.181 (6) 43.936 36.462
Umbria 3.181 12.068 9.580
Marche 7.915 (10) 28.194 22.543
Lazio 15.193 (4) 48.188 39.325
Abruzzo 6.662 25.347 21.360
Molise 1.224 4.753 3.800
Campania 8.750 (9) 35.648 26.212
Puglia 11.863 (7) 46.583 37.709
Basilicata 1.316 5.693 4.021
Calabria 6.077 24.620 19.934
Sicilia 11.217 (8) 45.931 36.302
Sardegna 7.911 (10) 28.442 22.816
TOTALE ITALIA
2003
229.526 808.823 699.292
Nord 136.036 459.430 419.228
Centro 38.470 132.386 107.910
Mezzogiorno 55.020 217.007 172.154
TOTALE ITALIA
2001
189.025 695.388 602.706
TOTALE ITALIA
2002
209.228 755.873 648.829
Fonte: Annuario ISTAT 2006

SUOLI LIBERI CONSUMATI FRA 1990 E 2005
(in percentuale sulla superficie regionale)
Liguria 45,55
Calabria 26,13
Emilia-R 22,09
Sicilia 22,00
Sardegna 21,20
Lazio 18,93
Piemonte 18,39
Lombardia 18,23
Abruzzo 17,72
Molise 17,56
ITALIA 17,06
Puglia 16,41
Toscana 15,71
Campania 15,05
Friuli-V.G. 14,42
Veneto 12,32
Marche 11,78
Umbria 10,20
V. d’Aosta 9,31
Basilicata 4,89
Prov.Bolzano 2,86
Prov.Trento - -
ITALIA 1950-2005
Da 30.000.000 a 17.803.010 ettari ( - 12.196.000 ettari*, - 40,65 per cento)
* L’intera Italia del Nord misura 11.991.000 ettari.
Consumo medio/annuo: 221.745 ettari
ITALIA 1950-1990
da 30.000.000 A 21.446.040 ettari ( - 8.533.960 ettari)
Consumo medio/anno: 213.349 ettari
ITALIA 1990-2005
da 21.466.040 a 17.803.010 ettari ( - 3.663.030 ettari)
Consumo medio/anno: 244.202 ettari


LA MAPPA DELLE RESIDENZE IN ITALIA
Italiani che abitano in un alloggio di proprietà:
42,7 milioni (72,9 per cento del totale)
Italiani che vivono in un alloggio in affitto:
10,7 milioni (18,3 per cento)
Italiani che abitano in un alloggio ad altro titolo (usufrutto, comodato, ecc.):
5,2 milioni (8,8 per cento)
Fonte: elaborazione Assoedilizia su dati Istat e Catasto (Sole 24 Ore, 3.9.2007).

PRIME E SECONDE CASE IN ITALIA
Totale abitazioni in Italia : 28.700
Abitazioni a disposizione come prima casa: 22.900
Abitazioni a disposizione come seconde o terze case turistiche: 5.800 ( 20,2 per
cento dell’intero patrimonio abitativo)

INVESTIMENTI NELL’EDILIZIA RESIDENZIALE IN ITALIA
1999: 58 miliardi di euro
2005: oltre 71 miliardi di euro
Incremento: + 23 per cento

QUANTITA’ E VALORE DEL PATRIMONIO EDILIZIO IN ITALIA
Valore del patrimonio residenziale : 3.522 miliardi di euro
Valore del mercato delle compravendite 2004 : 137,2miliardi di euro
Fonte: analisi e valutazioni ANCI-CRESME 2005


POPOLAZIONE, ABITAZIONI E STANZE ESISTENTI IN ITALIA
Anni Popolazione Abitazioni Stanze
1951 47.516.000
residenti
11.000.000 36.300.000
1991 56.778.000 “ 25.000.000 105.000.000
2005 58.500.000 “ 28.300.000 130.000.000
Var. % 1951-2005 + 23,1 + 157,3 + 247
NB: allo stock delle abitazioni e delle stanze legali occorre aggiungere la quota
decisamente elevata, soprattutto nell’area fra Roma e il Sud, di abitazioni e stanze
del tutto abusive. I dati sono ricavati dagli Annuari dell’ISTAT.
Da rilevare che fra il 1991 e il 2005 la popolazione italiana è cresciuta soltanto di
1.722.000 abitanti (+ 3 per cento), mentre il numero delle abitazioni è salito del 13,2
per cento e quello delle stanze (senza contare l’abusivismo non sanato) del 23,8 per
cento(+25milioni/stanze).

CANONE MEDIO DI AFFITTO NELLE CITTA’ ITALIANE
( in euro all’anno per 80 mq.)
Firenze 11.952
Milano 11.760
Roma 11.040
Bologna 10.584
Bari 6.024
Fonte: Indagine campionaria sindacati inquilini Sunia, Sicet, Uilat, settembre 2007

ABITAZIONI COSTRUITE IN ITALIA CON SOVVENZIONI PUBBLICHE
1984 : 36.000
1988 : 22.000
1993 : 6.000
2001 : 5.800
2004 : 1.800
Fonte: elaborazioni CRESME su dati ISTAT

PROMOTORI DI NUOVE INIZIATIVE IMMOBILIARI
(in percentuale in Italia)
1984 2004
Privati 45 42
Imprese 32 50
Cooperative 15 7
Pubblico 8 1
Fonte: elaborazione CRESME su dati ISTAT

INDEBITAMENTO DEGLI ITALIANI PER ACQUISTO DI ALLOGGI
(in milioni di euro)
Marzo 1997 : 41.000 Settembre 2000 : 80.000 Ottobre 2004 : 160.000

INDICI DELLA PRODUZIONE INDUSTRIALE ED EDILIZIA
2001 2002 2003 2004 2005 var.% 2001/2005
Indice produzione industriale - 0,9 1,7 0,5 - 0,5 - 0,9 - 4,5
Indice produzione edilizia 5,5 5,1 1,9 2,6 1,4 17,4
PIL al netto di costruzioni Media 2001-05
e consumi finali Pubbl.Amm. 2,4 0,6 - 0,2 0,5 - 0,5 0,6
Fonte: Arnaldo Sciamarelli su Eguaglianza&Libertà 17 nov. 2006

INDICI DELLA PRODUZIONE NELLE COSTRUZIONI*
2002 : 111,2
2003 : 114,4
2004 ; 116,8
2005 : 117,5
2006 : 122,3 I trim: 112,1 II trim. 130,6 III trim. 112,7 IV trim. 133,9
2007: I trim. 123,4 II trim. 135,8
*Dati corretti per giorni lavorativi. Fonte ISTAT 2007

INDICI DESTAGIONALIZZATI PRODUZIONE NELLE COSTRUZIONI
Media 2001 : 106,37
Media 2002 : 111,97
Media 2003 : 114,65
Media 2004 : 117,35
Media 2005 : 118,20
Media 2006 : 122,92
Media 2007 : 128,9 (I e II Trimestre, stime provvisorie)
Variazione % 2001-2007: + 21,18
Fonte ISTAT, Indice trimestrale produzione nelle costruzioni, 6 settembre 2007

RAFFRONTI STATISTICI INTERNAZIONALI
Abitazioni in affitto al 2003
(in percentuale)
Spagna 11
Irlanda 18
Italia 19
Grecia 20
Regno Unito e Belgio 31
Francia 38
Austria e Svezia 39
Olanda 45
Germania 55
Fonte: elaborazione CRESME

Incidenze percentuali delle abitazioni sociali al 2005
Sulle locazioni Sul patrimonio abitativo
Spagna 12 1
Italia 21 4
Germania 13 7
Irlanda 45 8
Austria 35 14
Francia 46 18
Regno Unito 68 21
Svezia 45 21
Olanda 77 35
Fonte: elaborazione CRESME

PREZZI DI ACQUISTO DEGLI APPARTAMENTI IN ZONE CENTRALI
(in euro al mq.)
Min. Max.
New York 10.000 16.500
Londra 10.500 16.000
Parigi 8.200 11.000
Zurigo 5.600 9.250
Monaco 5.800 8.500
Roma 6.100 8.400
Milano 5.300 7.200
Ginevra 4.500 7.050
Francoforte 4.400 5.750
Vienna 4.000 7.000
Stoccolma 3.600 5.550
Madrid 3.800 5.200
Berlino 3.500 4.350
Amsterdam 2.600 3.850
Bruxelles 2.550 2.900
Helsinki 1.800 2.500
Copenhagen 1.700 2.450
Fonte: elaborazione de “Il Sole 24 Ore”, ottobre 2007

PRODUZIONE DI CEMENTO IN EUROPA 2004
(in milioni di tonnellate)
Spagna 46,60
Italia 46,05 (di cui 47,8 % al Nord)
Scandinavia 35,77
Germania 33,40
Francia 21,54
Regno Unito 12,01
Benelux 11,03
Austria 4,03
Altri UE 10,16
Turchia 41,26
Fonte: Associazione Europea del Cemento

lunedì 12 novembre 2007

Grandi logistiche e piccole opere

Giorgio Boatti
La Provincia Pavese del 11/11/2007

Logistica fatta per noi

Della "logistica" in questi tempi si fa un gran parlare, tanto da far persino dimenticare il significato della parola. Quando si parla di logistica si pensa agli interporti, a nuove autostrade progettate affinché funzionino da magnete per attrarre ai loro bordi massicci insediamento commerciali, nonché all'alta velocità. Alta velocità che dovrebbe consentire alle merci, giunte dall'Estremo Oriente sino ai porti europei, di collocarsi al più presto sugli scaffali del più defilato centro commerciale. Pochi ricordano che la logistica, nel suo significato fondamentale, quello che emerge anche aprendo un buon vocabolario dovrebbe essere essenzialmente "l'attività di coordinamento e di sincronizzazione di movimenti di persone o cose in una struttura collettiva". E un territorio, abitato da una comunità, quale ad esempio la nostra provincia, è certamente una "struttura collettiva" dove la "logistica" dovrebbe dare il meglio di sé.
Tuttavia vi sono dei missionari della "grande logistica" - disseminati nella politica e nelle imprese, a volte collocati sul crinale di confine dell'una o della altre - che sembrano convinti che solo con le grandi opere, quelle di cui sono imperiosi paladini, si possano sanare le magagne di un territorio quale il nostro, pesantemente penalizzato nella razionalità ed efficienza delle comunicazioni e dei trasporti. Eppure davanti ai loro scenari è legittimo evidenziare qualche dubbio, far affiorare domande che, partendo dai disagi concreti che affliggono ogni giorno la gente comune, chiedono ragione di una contraddizione sempre più evidente.
Se la logistica è coordinamento e sincronizzazione di movimenti di persone e cose perchè, anziché intervenire tempestivamente dove le incongruenze sono immediate e palesi, risolvibili con investimenti ridotti e interventi che facciano tesoro di quanto già c'è, si imbocca sempre un'altra direzione? E così si privilegia l'opera a grande impatto e dai costi vertiginosi piuttosto che l'intervento attento sulla manutenzione, sull'intelligente scioglimento di nodi così palesi che la soluzione salta immediatamente agli occhi del più distratto dei cittadini.
Ad esempio perchè si consente a molte strade della nostra provincia, e non da oggi, di essere in condizioni di tale degrado da costituire un vero attentato alla sicurezza delle persone? Cosa è stato dell'attenta manutenzione che dovrebbe rappresentare il primo compito di un'oculata gestione delle pubbliche infrastrutture prima di vagheggiare mega-opere in sostituzione di quelle esistenti negligentemente condannate al decadimento?
A volte non sono solo le pubbliche amministrazioni a latitare, ma anche le imprese private che controllano la parte della viabilità più significativa. Ad esempio, è possibile che il gestore dell'autostrada Serravalle che fa anche da significativa bretella di collegamento tra Pavia e Milano, non si sia ancora reso conto di come, ogni giorno, all'ingresso della superstrada di Bereguardo, si formino code - in entrata al mattino e in uscita la sera - perchè quel casello è del tutto sottodimensionato rispetto al bisogno degli utenti? Possibile che nessuno degli amministratori pavesi, finora presenti nel consiglio d'amministrazione della Serravalle, abbia speso la propria influenza affinché fosse adeguato? Magari cominciando a estendere le entrate abilitate all'uso del Telepass?
Saranno piccoli dettagli, bazzecole per chi è abituato a delineare le grandi strategie della logistica, ma per l'utente comune rappresentano tempo prezioso che quotidianamente viene buttato via.
Ma, su tutto l'assetto dei trasporti che innerva la provincia di Pavia, il grande malato continua ad essere, inutile negarlo, il treno. Qui migliaia di pendolari misurano ogni giorno il degrado del servizio, l'inaffidabilità di una rete ferroviaria che peggiora di anno in anno e che, opportunamente valorizzata, con costi inferiori a quelli previsti per le faraoniche opere stradali in progettazione, potrebbe costituire il fondamentale sistema di collegamento tra Pavia e Milano, rappresentando la rete di circolazione, efficace e a ridotto inquinamento, della Grande Milano.
Ma i paladini della logistica, davanti a queste sfide poste dall'esistente, nicchiano, tacciono, latitano. Preferiscono guardare alle mega-opere del futuro. Quelle che, per imporsi, pare debbano prima ridurre il presente in macerie.

venerdì 2 novembre 2007

Parco del Ticino, arrivano i soldi dopo il consenso sulle nuove opere. Voto di scambio?


Parco del Ticino. Milena Bertani chiude il suo primo mandato. I complimenti se li fa da sola vantando il recuperato rapporto con la Regione Lombardia come principale successo della sua gestione. Un successo pagato troppo caro. Perchè a farne le spese è l'ambiente che il Parco dovrebbe tutelare. La contropartita? Soldi. Dice infatti la Bertani che il rinnovato rapporto con enti e istituzioni ha portato tra l'altro "risorse finanziarie cospicue". Tutto è stato molto facile, è bastato dire "sì" ad ogni progetto della Regione, autostrada Broni Mortara in primis.
Riassumendo: l'Ente parco decide che è più importante il buon rapporto con l'istiuzione da cui dipende piuttosto che il ruolo assegnatole dallo statuto, ma ancor prima dallo spirito che ha motivato l'istituzione di un Parco per il Ticino. Ed ecco che alla virata nella gestione corrisponde una pioggia di finanziamenti dalla Regione. Il cerchio si chiude.
E' esagerato dirsi indignati per questo scambio? Che concede pezzi di parco per una ipocrita "pace" fra le istituzioni. Se il controllore non controlla più che succede? Le maglie si fanno larghe e i progetti voraci, aeroporti e strade, procedono senza intoppi. Nemmeno formali, ricordiamo ad esempio il voto favorevole alla prima conferenza dei servizi, sempre sull'autostrada Broni Mortara, da parte dell'Ente Parco che in quel caso disse di "non voler andare contro la volontà dei sindaci".
Il consumo di suolo cresce in maniera dissennata, il genere umano, come una specie che ha perso il senso del proprio essere, sta divorando il substrato che lo tiene in vita. E se anche in quelle zone che ci siamo impegnati a tutelare, nulla ferma il cemento si spiega perchè il resto del territorio sia così malconcio.

martedì 23 ottobre 2007

Proposte di legge e fame di territorio

Da alcuni articoli dell'inserto Milanese di Repubblica del 21 ottobre 07 emergono la drammaticità del problema del territorio e la contraddittorietà delle risposte fornite dalle pubbliche amministrazioni
Da una parte sembra essere percepita la potenziale gravità della situazione dall'altra è impossibile porvi rimedio. Due proposte di legge di segno contrario, una per ripagare ogni metro quadro costruito con un metro quadro di verde, l'altra che invoglia i costruttori di strade privati a edificare liberamente in prossimità delle stesse in modo da ripagarsi i costi sostenuti.

Punto di non ritorno
Ecco un allarme da parte di Pietro Mezzi assessore al territorio della Provincia di Milano.
Il concetto è il seguente: si è stimato che con oltre il 50% di utilizzo di suolo per fini antropici questo non è più in grado di rigenerarsi. In pratica muore. Diamo per buono il dato anche se sarebbe utile conoscere i meccanismi e le condizioni necessari perchè il suolo si "rigeneri".
Di fatto in molte aree del milanese questa soglia è ampiamente superata (70% cintura nord Milano, 60% sempione, 57% Brinaza Centrale). In altre le cose vanno molto meglio (parco agricolo sud Milano 19% ... [il 19 % non è proprio pochissimo NDR]) ma le pressioni sono fortissime.

Complessivamente nella provincia di Milano il suolo è utilizzato al 34%. Il problema è che considerando i piani regolatori attuali e sommando anche le zone "prenotate" (anche se non ancora edificate), la percentuale sale clamorosamente al 42%.
La provincia di Milano si ritroverebbe quasi al famigerato punto di non ritorno e non stiamo considerando i nuovi progetti che fisiologicamente verranno presentati (Expo 2015 in primis).

Dal 34% al 42% .... l'8% del suolo totale è la stima di consumo dei prossimi anni. Diciamo che i piani regolatori hanno un'ottica di una generazione? Facendo 4 conti si può stimare che se i ritmi rimangono questi in qualche decennio avremo usato TUTTO il suolo libero, teniamo conto che quando questa percentuale sale la qualità di suolo rimanente diminuisce e non solo la quantità, per il noto effetto della "diffusione" o sparpagliamento del costruito che interrompe la continuità del territorio libero. Spazi interstiziali o in prossimità di attività industriali o aeroporti pur non essendo ancora cementificati sono di fatto inutilizzabili per scopi agricoli o di conservazione del patrimonio ambientale.

Ma i comuni vogliono costruire, gli oneri di urbanizzazzione giustificano il sacrificio definitivo del territorio agricolo agli occhi miopi dei nostri aaministratori (vedi altri articoli di questa rassegna).



Comuni affamati suolo libero cercasi
Ironia delle notizie, proprio mentre l'assessore provinciale di Milano lancia il grido d'allarme (vedi articolo precedente) 22 comuni del sud Milano fanno pressione perchè siano concesse nuove urbanizzazioni superando i vincoli dell'attuale parco agricolo.
Sempre da Repubblica.



Un metro quadro di verde per un metro quadro costruito
Un progetto di legge che vede d'accordo sia il governo che la regione prevede che chi costruisce deve contestualmente ripristinare una equivalente superficie a verde. Meglio di niente.
Di Simine (Legambiente lombardia) sostiene che per il 2050 si deve arrivare ad azzerare il consumo di suolo (ma nel 2050 come sarà ridotta la pianura padana?)

Più capannoni lungo le nuove autostrade
E dalla pubblica amministrazione escono proposte di legge che vanno nella direzione opposta.

L'assessore alle infrastrutture e alla mobilità della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo ha spiegato che siccome i privati con il project financing non riescono più a ripagare i costi, verrà loro concesso l'utilizzo delle zone adiacenti all'area stradale per farci quello che vogliono, centri commerciali, logistiche, ecc.
Questa proposta non si limita a favorire il consumo di suolo, lo rende obbligatorio! Attualmente la legge è all'esame della commissione territorio dopo avere ricevuto l'approvazione della giunta.


lunedì 22 ottobre 2007

La commissione europea ci tira le orecchie per l'inquinamento dell'aria


Il PM10 proprio non lo vogliamo abbattere. L'anidride solforosa nemmeno.
I soliti Italiani, prendiamo gli impegni così, con una leggerezza che sembra il volo di una farfalla, vanesi e azzeccagarbugli insieme, sempre lì a cercare di rifilare una patacca al fesso di turno.
Ma torniamo al nostro presunto torto.
Secondo la commissione europea, che ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, nella lotta agli inquinanati atmosferici non ci mettiamo il giusto piglio agonistico.

Secondo loro le nostre politiche non vanno nella direzione di limitare i processi combustivi nel mondo dei trasporti, cioè di favorire il ferro ricusando la gomma e di incrementare il trasporto pubblico o collettivo a discapito di quello privato, nè emerge quella grinta, salutare per il successo di un'impresa, nel diffondere buone pratiche edilizie che impongano di fatto la costruzione di case passive, ecologiche nei materiali e negli impianti, nè, più in generale, si intravede una sincera ed interiorizzata sensibilità per le tematiche ambientali e del territorio.

Che sia un problema e non un caso isolato lo conferma il numero di procedimenti in corso, 27 se la memoria non mi tradisce, per negligenze varie relative a discariche, aree da bonificare, ecomostri, devastazioni ogni tipo.

Nel caso di specie da anni eccediamo di oltre il triplo il numero di giornate consentite per il superamento dei limiti per l'anidride solforosa. Perlomeno in molte città della pianura padana. Cosa facciamo per uscire da questa situazione? Poco o niente dice la commissione UE.

Non è vero. Vorrei, qui, spezzare una lancia a favore della Regione Lombardia oggetto del richiamo europeo, ma anche delle Province più o meno direttamente parti in causa insieme ai Comuni nella gestione del territorio e della viabilità. Sono tutt'altro che inattivi. A puro titolo di esempio (e limitatamente alla provincia di Pavia):

- hanno concepito un nuovo tratto autostradale che collegherebbe Broni a Mortara in modo da dirottare oltre 45000 veicoli al giorno tra Oltrepò e Lomellina. Si tratterà di traffico di passaggio proveniente dal milanese e auto-indotto proprio a causa della disponibilità del nuovo percorso, il nuovo traffico si sommerà a quello locale.
- non hanno adeguato, in questi anni, il patrimonio stradale esistente nè proposto soluzioni ragionevoli per i problemi di mobilità locali, favorendo in questo modo la srutturale congestione viabilistica
- hanno lasciato che la provincia di Pavia diventasse terra di conquista per logistiche e interporti
rendendo ineluttabile un incremento ulteriore di traffico pesante
- non hanno avuto nulla da dire sull'incremento del 50% della più grande raffineria di petrolio italiana a Sannazzaro de' Burgundi
- nè sul raddoppio dell'inceneritore di Parona (recentemente balzata alle cronache per il superamento continuo dei limiti di soglia del PM10).

Questi sono fatti. Con quale coraggio si può dire che le istituzioni non stanno facendo niente per il PM10 e per il biossido di azoto (o anidride solforosa che dir si voglia)?

Qui un commento sulla notizia da parte di Legambiente.

mercoledì 29 agosto 2007

Garzaie sì garzaie no


Due pesi e due misure da parte della Regione Lombardia nel valutare l'impatto sulle aree protette lomelline

La Regione Lombardia inciampa sulle garzaie.

Da una parte le vorrebbe lastricare d'asfalto (autostrada Broni Mortara), dall'altra ritiene invasiva anche l'esile struttura di un traliccio (linee elettriche centrale Parona). E parliamo delle stesse aree protette, da parte dello stesso ente e nello stesso periodo. Unità di tempo di spazio e di azione come nello schema teatrale classico. Quella in cui neanche il più scalcinato autore sarebbe caduto è una così palese contraddizione.

Si veda qui di fianco l'articolo della Provincia Pavese del 4 agosto che ci informa di come la Regione Lombardia abbia dato parere assolutamente negativo all'ipotesi di costruzione di una centrale termoelettrica con relativo elettrodotto proprio perché il tragitto avrebbe tagliato a metà "una Zps ricca di garzaie e di fontanili".

Ecco un passo dell'articolo: " Per questo caso come per altri del recente passato Milano ha voluto 'preservare la biodiversità' di un luogo che offre numerosissime aree umide quali sono appunto le garzaie. Sempre in tema di aree protette la giunta Formigoni ha ricordato che il progetto di elettrodotto avrebbe atteaversato la zona di protezione speciale 'Garzaie della Lomellina', la ZPS istituita da Bruxelles attraverso la giunta regionale. Nel progetto presentato ai ministeri, infatti, i tralicci della Union Power avrebbero [delineato] un tragitto che sarebbe andato a tagliare a metà proprio una ZPS".

Ma ecco come continua il pezzo creando ancora più stupore..."Nell'esprimere parere negativo poi la Regione Lombardia ha fatto cenno alla raccolta di firme promossa dal comitato dei cittadini La nostra Parona: tre anni fa circa 900 cittadini dissero un secco no alla centrale da circa 400 MegaWatt"

E infine quasi sopraffacendo il lettore... "la Regione Lombardia ha ricordato la presenza del termo distruttore di rifiuti di due industrie chimiche e di altre realtà che appesantiscono il tessuto produttivo di Parona. 'Finalmente la Giunta Regionale, con un atto ufficiale, prende atto delle notevoli criticità presenti in Lomellina per bocciare questo impianto che non serve il territorio', commenta il consigliere regionale Lorenzo Demartini "

Ricapitolando la Regione Lombardia (lato A) ha:
1- bloccato una infrastruttura perché incideva sulle aree protette da lei stessa istituite
2- tenuto conto delle valutazioni delle popolazioni locali
3- tenuto conto della pressione in termini di impianti di vario genere già presenti sul territorio
4 -evidenziato il fatto che l'impianto non sarebbe andato a servire il territorio

La Regione Lombardia (lato B) su una infrastruttura enormemente più invasiva, come è appunto un'autostrada, rinnega tutti e quattro i punti precedenti e sostiene il progetto con ogni mezzo e con tutta l'arroganza istituzionale che è in grado di esprimere. E non è poca.
Che Union Power non abbia le aderenze e l'influenza di altri?

Ma come è triste dover scegliere ogni volta tra l'incapacità e la malafede per i nostri politici.

mercoledì 15 agosto 2007

Che ne sai tu di un campo di grano

Lo scenario è quello del defunto zuccherificio di Casei Gerola per cui si prospetta la rinascita, grazie a finanziamenti pubblici, sotto le variate forme di stabilimento per la produzione di bioetanolo.
Tutto bene, tutti contenti, anche per gli aspetti occupazionali, un unico neo: si cambia localizzazione.
Il nuovo stabilimento infatti non nascerà sulle ceneri di quello preesistente, come vorrebbe il buon senso, ma a Zinasco, una altro comune del pavese e su ottimo suolo agricolo.

Ma perché spostare lo stabilimento?
Il pretesto ufficiale è di quelli offensivi per l'intelligenza dei più, si dice infatti che la vicinanza della linea ferroviaria abbia determinato la scelta di Zinasco.
Vediamo perché l'argomento è pretestuoso.
1) La ferrovia a Casei Gerola non c'è, ma a meno di 5 chilometri c'è l'importante nodo ferroviario di Voghera, inoltre Casei Gerola dispone di uno svincolo autostradale della Milano-Genova... sembra teatro dell'assurdo, qui l'autostrada c'è, ma evidentemente non la si vuole usare, in compenso se ne vuole costruire una nuova (la Broni-Mortara) probabilmente per non usare nemmeno quella in futuro in modo da avere il pretesto per ulteriori inutili, costosissime e devastanti infrastrutture.
2) La perdita definitiva di un'altra porzione di terreno coltivabile è ben più significativa dell'inquinamento indotto dal trasferimento delle produzioni agricole dalla stazione di Voghera all'impianto di Casei Gerola. Inoltre nulla vieterebbe, per questa breve tratta, di utilizzare veicoli elettrici, o comunque a basso impatto ambientale.
3) Tutta questa attenzione al trasporto su rotaia non emerge dalle politiche delle amministrazioni locali, Regione Lombardia e Provincia di Pavia in primis, che paiono ineluttabilmente stregate dalla gomma.

Veniamo alle ragioni vere.

Nuovi luminosi destini attendono l'area dell'ex zuccherificio. Si parla infatti di "terziario avanzato".
Forse un centro di ricerca sulle telecomunicazioni? O alleanze università-impresa per definire nuove metodologie produttive? Meglio... molto meglio... verrà infatti realizzato... UN OUTLET!
Nel nome delle "grandi firme", vero modello culturale dell'Italia di oggi, centocinquanta negozi, forse duecento, tutti "griffati", si sostituiranno ai macchinari e ai residui di lavorazione delle barbabietole.

Se vogliamo chiamare le cose con il loro nome si tratta di "terziario antiquato"...ma come si sa siamo bravi a giocare con le parole.

Quindi ricapitolando è la solita questione di soldi.
1) Italia Zuccheri prende i soldi UE per la bonifica del terreno
2) Vende il terreno di Casei destinato al "terziario avanzato" con cospicui ricavi
3) Con 3 lire si compra il terreno agricolo a Zinasco
4) Sempre con finanziamenti UE sul terreno agricolo realizza lo stabilimento per la produzione del bioetanolo
5) La produzione comincia, dal 2010, e sarà sostenuta da incentivi pubblici

Il problema sta ai punti 2 e 3. E' una responsabilità della politica far sì che non sia conveniente bruciare suolo agricolo quando c'è a disposizione un'area dismessa perfettamente utilizzabile.

Notate che tutto starebbe in piedi comunque, e che con una tale messe di finanziamenti pubblici i rischi per l'imprenditore si annullano.
Da Roma deve ancora arrivare l'ok definitivo, l'ultima speranza di un ravvedimento che preservi il territorio non cementificato risiede presso il Ministero delle Politiche Agricole. Sarebbe un bel segnale in un contesto in cui prevale l'inciucio affaristico a scapito dell'ambiente.

In tutto questa situazione non si capiscono le dichiarazioni trionfali del sindaco di Zinasco per il primo impianto industriale del paese.
Porterà sicuramente molti problemi, rumore, inquinamento, paesaggio penalizzato. Posti di lavoro nessuno perchè sono destinati agli ex dello zuccherificio, il sindaco allude all'indotto...ma non si capisce quale indotto possa portare qualche decina di pendolari da Casei Gerola... se va bene si potrà aprire un bar.

Domanda per il sindaco di Zinasco ... ma se non ce la avete mai avuta un'industria in paese, siete proprio sicuri di volerne una?

Ulteriore considerazione. Tra gli effetti dell'apertura dell'outlet, la crisi certa per i negozi di abbigliamento, scarpe, accessori della zona di Casei Gerola non sembra interessare nessuno.

P.S.
Ovviamente anche in questo caso la manovra è stata condotta in perfetto stile abellian-formigoniano e non ha visto il coinvolgimento delle comunità locali. Queste sono state informate a decisione presa.

Quando impareranno?

mercoledì 8 agosto 2007

Miracolo in piazza Italia!! La Provincia si accorge che ci sono troppe logistiche

Ma dopo avere approvato la Broni - Mortara, l'infrastruttura madre di tutte le logistiche, riesce difficile interpretare l'attuale presa di posizione.

San Siro concede la grazia! Apprendiamo infatti che la Provincia si mette a fare le pulci alla logistica. Ma non solo, rivendica anche una specie di primogenitura in questo ruolo, lamentando però scarso credito presso i Comuni.

La questione in sintesi è questa (cliccate sull'articolo per ingrandirlo). La Provincia non approva le nuove proposte di logistica per Landriano e per Vellezzo Bellini, chiama quindi in causa la Regione per bloccare l'iter dei nuovi insediamenti.

Già, perché in prima battuta il Comune di Landriano ha fatto notare, tramite il suo legale, che la Provincia non è competente sulla questione della nuova logistica, peraltro piazza Italia ribatte che la competenza c'è essendo una strada provinciale l'arteria sulla quale insisterebbe il surplus di traffico.

Al di là del caso specifico non stupisce la mancanza di carisma della Provincia. Dopo aver sostenuto in modo acritico la realizzazione della "madre di tutte le logistiche" e cioè la famigerata autostrada Broni - Pavia - Mortara, riesce infatti difficile spiegare ai vellezzesi perchè tutti se la prendano coi loro miseri 200.000 metri quadri di suolo agricolo a cui cambiare destinazione quando nessuno fa una piega nel consumarne 4.000.000 (4 miloni) attraversando risaie, parchi, zone protette, più altri 3.000.000 (3 milioni) con i due interporti di Mortara e Bressana Bottarone, più un effetto domino di opere aggiuntive, non precisamente quantificabile oggi, ma di certo profondamente invasivo.

Acriticità di giudizio da parte della Provincia che ha riguardato non solo il merito dell'opera, peraltro contestabilissima (dubbia utilità, costi eccessivi, danni ambientali sproporzionati, modello di sviluppo anni '60), ma anche per il metodo, tutto stratagemmi, furbizie e promesse non mantenute adottato dalla Regione. La Provincia ha appoggiato tutto, sempre e comunque. Mai un dubbio, mai una voce di dissenso.

Perché tutto questo rigore adesso e la voce grossa coi "piccoli"? Ci sono forse meno pressioni esterne su questi progetti e si può finalmente tornare a svolgere con coscienza il proprio compito? O forse è necessario creare un precedente per poter dire tra qualche tempo che anche la Provincia aveva lanciato il grido d'allarme? Oppure si credeva di poter controllare il fenomeno, e si è finiti come chi volendo bruciare gli sterpi si ritrova tra le mani un incendio?

Perché il solito desolante chiudere la stalla quando i buoi sono scappati? Perché è così difficile vedere che gli equilibri si stanno rompendo, che stiamo diventando un'altra cosa da quella che eravamo e che non l'abbiamo scelto noi, che i fantasmi di Rozzano e dell'hinterland milanese, urbanisticamente parlando, incombono?

Perché la Provincia pur non avendo redatto il piano per la logistica che le compete ha consentito che le strutture logistiche si insediassero capillarmente?
E questo atteggiamento non vuol dire in realtà avere un piano per la logistica, e avercelo ben chiaro?

P.S.
Il giorno successivo Poma, presidente provinciale, precisa, con una lettera alla Provincia Pavese, di non essere mai, comunque e in nessun caso contro Formigoni (e c'era da precisarlo?), inoltre: "chiede di poter avere strumenti più efficaci di pianificazione delle varie infrastrutture sul territorio, attraverso prescrizioni vincolanti che non riguardino solo la salvaguardia paesaggistica-ambientale" (come dire che sulla salvaguardia gli strumenti ci sono e sono sufficienti... evidentemente quindi tutto si riduce ad un puro esercizio accademico, gli piace l'idea di averli a disposizione ma forse teme che adoperandoli si possano usurare).

martedì 7 agosto 2007

Buoni maestri e parole al vento. Antonio Cederna - 1987

Grazie a http://eddyburg.it/article/view/9421/

Scritto esattamente vent’anni fa (luglio 1987). I dati andrebbero aggiornati, le valutazioni dovrebbero essere ribadite

In Italia abbiamo sempre avuto buoni maestri, però non li abbiamo mai ascoltati.

Da: Cederna A.- Santucci A.- Scolaro G., Il "rovescio"della città, Introduzione di Emiliani A., Bologna, Labanti e Nanni, 1987

Perché in Italia è così difficile proteggere l’ambiente e la natura, e utilizzare in modo ragionevole il territorio?

Chi oggi intraprendesse il grand tour potrebbe alla fine scrivere quella “guida dell’Italia alla rovescia” di cui da gran tempo si sente la mancanza, in cui illustrare i maggiori scempi e disastri: pinete litoranee lottizzate, aree archeologiche insidiate dall’edilizia, mare in gabbia e coste trasformate in congestionati suburbi, fiumi ridotti a cloaca, colline e corsi d’acqua devastati dalle cave, case e industrie costruite in zone franose, preziose zone umide trasformate in campi di patate, monumenti famosi incastonati fra i casamenti della periferia, boschi abbandonati, montagne scorticate e ricoperte da fili e tralicci, pendici di vulcani urbanizzate, parchi nazionali occupati da condominii e tagliati da strade rovinose, scarichi fumanti di rifiuti, la macchia mediterranea privatizzata dal reticolo edilizio, e via dicendo. Un insensato sparpagliamento del costruito elimina ogni distinzione tra città e campagna, annulla ogni identità fisica e storica, un’ininterrotta crosta di cemento e asfalto va man mano sostituendosi alla crosta terrestre.

E il lettore verrebbe a sapere che in vent’anni ben tre milioni di ettari di terreno agricolo (un decimo dell’Italia) sono stati fatti sparire, e che se non si pone rimedio si può prevedere che tra cent’anni tutta l’Italia verde sarà scomparsa. Che da questo saccheggio (ispirato alla più completa ignoranza delle caratteristiche di paesaggio, territorio, suolo) deriva in gran parte il dissesto idro-geologico che ci affligge, le alluvioni bi-trimestrali, le tremila e più frane all’anno (un morto ogni dieci giorni). Che da anni imperversa il più folle spreco edilizio, per cui abbiamo ottanta milioni di stanze per 56 milioni di italiani, mentre sempre più acuta è la crisi degli alloggi (ma ben quattro milioni sono gli alloggi vuoti), senza parlare del flagello dell’abusivismo, per cui nel Mezzogiorno due case su tre sono fuori legge.

Che l’Italia è alla coda della graduatoria universale per quanto riguarda aree protette (solo l’1,5 per cento del territorio, contro medie del 10 per cento negli altri paesi, terzo mondo compreso).

Che non un solo parco pubblico degno del nome è stato realizzato nelle città, per il riposo, la ricreazione, il tempo libero di giovani e adulti, mentre grandiose realizzazioni sono in corso in tutta Europa, da Vienna a Parigi a Monaco, eccetera.

Le radici di questa arretratezza sono profonde e diffuse. Troppi politici e amministratori considerano anche il territorio come merce da barattare, terra di nessuno ovvero proprietà di chi riesce ad arraffarlo. Il mondo accademico (che pomposamente si definisce “comunità scientifica”) è assorto nei propri pensieri, ossequioso verso il potere, incapace salvo eccezioni di azioni coraggiose. Gli uomini di cultura sono da sempre indifferenti ai problemi della vita associata, e considerano “anime belle” chi si batte per la difesa dell’ambiente. Gli addetti ai lavori, architetti e urbanisti, salvo una valorosa minoranza, disprezzano la cultura della conservazione e smaniano di lasciare ovunque la propria “impronta”, spropositando che senza architettura la natura non varrebbe niente. La stampa, per quanto più attenta di una volta, è vittima del culto demenziale della notizia, e “notizia” significa fatto clamoroso, catastrofe, incendio, alluvione, eccetera, per cui troppo spesso si riduce a semplice registrazione tardiva di fatti compiti, con tanti saluti all’altro culto sbandierato, quello dell’attualità. Quanto alla scuola sappiamo il poco che si fa per educare i giovani al rispetto, alla conoscenza, al giusto comportamento.

Al fondo di tutto ciò ci dev’essere una qualche radicata malformazione culturale. Semplificando si può dire che le principali componenti della nostra cultura non hanno dato buoni frutti. L’idealismo ci ha insegnato che la natura non esiste, che il paesaggio è uno stato d’animo, cioè un’apparenza soggettiva e inafferrabile. Il cattolicesimo (ovvero, la tradizione giudaico-cristiana) ha dissacrato il concetto che della natura aveva il mondo classico, e ne ha fatto despota l’uomo. Il marxismo ha per troppo tempo sottovalutato i problemi del territorio, considerandoli sovrastrutturali, e rimandandone la soluzione alla palingenesi universale. Il risultato è la convinzione, fatta propria dalla moderna società industriale, che il progresso si identifichi con l’urbanizzazione a qualunque costo, il benessere con la crescita continua della produzione, e quindi con il cieco consumo delle risorse, spazio, suolo, territorio, ritenuti pressoché illimitati.

Se le cose stanno così, c’è spesso da chiedersi come sia possibile prendersela troppo con la maleducazione della gente qualunque, che sporca, getta la cicca accesa, strappa i fiori, malmena gli animali domestici e stermina quelli selvatici, sega gli alberi davanti alla casa per “vedere il panorama” (che nei giochi di parole crociate è definito “soggetto per cartoline”); o prendersela troppo con gli amministratori del villaggio, ultimi esponenti di un’incultura generalizzata, tutta intrisa di disprezzo per l’ambiente naturale, considerato oggetto di violenza. Chi mai direbbe che siamo il paese di San Francesco, il santo più immeritato e meno italiano, che ha detronizzato l’uomo dal suo dominio sulla natura e ha predicato la tenerezza, la fratellanza con ogni altra cosa animata e inanimata, che predicava agli uccelli rapaci, raccoglieva da terra le lumache perché non venissero calpestate e raccomandava di lasciare in ogni orto un pezzo di terra non coltivata perché potessero liberamente crescere le erbacce.

Non tutto è nero, certo. Cresce la “domanda di natura”, si organizzano gruppi di pressione su singoli problemi, fervida è l’attività delle associazioni protezionistiche, la magistratura interviene più frequentemente, una legge recente ha esteso il vincolo ambientale a intere categorie di beni (coste marine, fiumi e laghi, boschi e foreste, montagne al di sopra di una certa quota eccetera): ma è necessario intensificare l’azione per immunizzare la gente contro i perniciosi demagogici luoghi comuni diffusi da tutti coloro che dal saccheggio del territorio traggono le loro fortune.

Dicono ad esempio che la difesa dell’ambiente naturale costi troppo: quando la verità è esattamente il contrario, perché è la mancata opera di prevenzione o tutela che rovescia sulla collettività ingenti costi sociali: basta pensare ai tremila miliardi di danni che ogni anno ci procura il dissesto idrogeologico, o a quel che costa, per ricordare un disastro recente, l’inquinamento dell’Adriatico, che annienta la pesca e scaccia i turisti.

In realtà, la difesa della natura rende molte volte di più di quello che costa. Il turismo di soggiorno ed escursionistico promosso dalle aree protette e dai parchi arreca benefici economici duraturi alle popolazioni: il milione di visitatori del parco d’Abruzzo mette in giro quaranta-sessanta miliardi l’anno; e si è calcolato che, qualora venissero istituiti i parchi nazionali da tempo annunciati, sarebbero trentamila i posti di lavoro, diretti o indotti, che verrebbero creati (ma ancora si aspetta l’altra legge fondamentale, quella in difesa della natura e per l’istituzione di parchi e riserve). Senza dire dei benefici non monetizzabili, il valore infinito delle risorse e degli equilibri naturali più segreti e complessi, essenziali sia alla sicurezza del suolo sia all’elevazione culturale: perché a tutti sia concessa quell’esperienza liberatoria che è la contemplazione, la comprensione, lo studio dell’ambiente incontaminato. Gli sciocchi dicono che “non si deve mummificare la natura”, come si trattasse di un cadavere: mentre la natura è un laboratorio formicolante di vita che solo la conservazione può garantire: una vita, quella dei pesci, degli aironi, degli stambecchi, delle farfalle, dei lombrichi eccetera, dalla quale dipende per direttissima la vita degli uomini.

Dobbiamo dunque impegnarci per favorire una drastica riconversione culturale, basata su alcuni principî elementari. Suolo, territorio, ambiente sono una risorsa scarsa, limitata per eccellenza, da utilizzare con estrema parsimonia e rigore scientifico.

Non è possibile un autentico progresso economico e sociale senza una preventiva, lungimirante costante politica ecologica che metta fine agli sprechi e quindi ai costi della degradazione ambientale e dell’inquinamento: continuare a consumare le risorse col criterio dell’“usa e getta” è semplicemente suicida.

D’altra parte, la risorsa scarsa, limitata, irriproducibile per eccellenza è il suolo, il territorio: ogni sforzo dunque va fatto per porre fine al consumo irresponsabile che ne è stato fatto in decenni di sprechi, leggerezze e saccheggi.

Se si continuasse col passo attuale della cieca espansione edilizia, stradale, industriale eccetera, tra poco più di un secolo tutta l’Italia sarebbe ricoperta di una continua, ininterrotta, repellente crosta edilizia e di asfalto, tale da distruggere ogni produttività agricola e cancellare la stessa fisionomia paesistica, naturale, culturale di quello che fu chiamato il Bel Paese. Bisogna dunque che coll’aiuto di urbanisti ambientalisti ecologi, le pubbliche amministrazioni (comuni, provincie, comunità montane, regioni eccetera) si decidano a fare sistematicamente i conti, a fornire cifre relative al consumo di suolo e territorio perché tutti possano rendersi conto del disastroso traguardo che ci sta davanti se non si cambia rotta: un’Italia a termine, destinata ad essere consumata e finita nelle prossime tre o quattro generazioni.

Gli amministratori sono restii a fare calcoli e a fornire le cifre, perché sono un essenziale strumento di conoscenza che può mettere in crisi il partito dei saccheggiatori: ma qualcuno ha cominciato a informare la pubblica opinione. I dati sono ancora parziali: ma come le “proiezioni” fatte alla televisione dopo la chiusura dei seggi elettorali esaminando un numero assai limitato di schede, già possono dare attendibili indicazioni su quello che sarà il risultato finale. Dunque, dai calcoli del CENSIS coi dati dell’ISTAT, risulta quanto segue.

Il suolo agricolo utilizzabile nell’ultimo decennio è diminuito del 9,4 per cento, perché distrutto dall’avanzare dell’urbanizzazione o perché abbandonato.

Regione per regione, è diminuito dell’8 per cento nel Veneto e in Lombardia, dell’11 per cento in Calabria, del 12 per cento in Liguria, Piemonte e Sicilia, del 16 per cento in Sardegna, del 17 per cento nel Friuli-Venezia Giulia. Nell’ultimo trentennio le aree non più classificabili come utilizzabili a fini produttivi hanno raggiunto la dimensione di circa 5 milioni di ettari (una superficie pari a Piemonte più Lombardia): il consumo è proceduto a un ritmo medio di 150.000 ettari all’anno.

In particolare, le aree metropolitane, cioè urbanizzate, sono raddoppiate: l’espansione delle città ha divorato la campagna al ritmo di 25-35.000 ettari all’anno. In sintesi, come ha calcolato Giuliano Cannata della Lega Ambiente, dal ’70 all’81 i terreni perduti, perché abbandonati o occupati da edifici, strade, industrie, cave, discariche eccetera, sono passati dal 12,5 al 20,6 per cento del totale, pari a consumo medio dello 0,7-0,5 per cento all’anno: nell’ultimo ventennio circa 3 milioni di ettari di terreni agricoli sono andati distrutti (e sono un decimo dell’Italia). Come dire che se si continuasse ad andare avanti così, “tutto il territorio italiano, dal Cervino a Capo Passero, sarebbe finito in poco più di cento anni”.

Questa prospettiva suicida è il risultato di quella distorsione mentale che il CENSIS chiama “rimozione del territorio”. Con incoscienza l’abbiamo considerato come un vuoto da riempire, una res nullius, un oggetto di baratto e una fonte di lucro: i comuni hanno confezionato strumenti urbanistici grottescamente sovradimensionati, senza alcun rapporto coi reali fabbisogni, praticamente considerando tutto edificabile. Qualcuno ha calcolato che se si sommassero le cubature previste dai piani regolatori e programmi di fabbricazione, l’Italia risulterebbe capace di ospitare, sulla carta, una popolazione superiore a quella degli Stati Uniti o dell’Unione Sovietica.

Il deprimente spettacolo che offre il nostro Paese è sotto gli occhi di tutti. Un inverecondo sparpagliamento edilizio sommerge pianure e colline, abolendo ogni distinzione fra città e campagna, e sommerge le aree agricole, nel disprezzo per gli aspetti paesistici, per l’ambiente naturale. L’edilizia dilaga a nastro lungo le strade, a ragnatela nelle periferie urbane: al costruito si accompagna l’asfalto, le discariche di rifiuti, i terreni vaghi, degradati, l’abbandono (a ogni ettaro costruito ne corrisponde mediamente un altro in attesa di essere liquidato).

È il “deserto abitato” che avanza nel disordine totale, rendendo a poco a poco irriconoscibile l’Italia: una clamorosa smentita alle regole elementari del vivere associato, un’incolta irrisione a ogni norma elementare di pianificazione urbanistica, un crescita dissennata che aumenta paradossalmente proprio mentre cala l’incremento demografico.

Due sono le indagini recenti che danno un’idea drammatica della situazione: una riguarda l’area metropolitana milanese e la Lombardia in generale, l’altra la provincia di Roma. Come è stato documentato recentemente dal “Centro documentazione e ricerche” della regione Lombardia, nell’area metropolitana milanese (oltre un centinaio di comuni, 180.000 ettari) il consumo di territorio ha ormai raggiunto il 33 per cento, in nove anni (1963-1972) ne è stato distrutto più che nel secolo precedente, e si procede al ritmo dell’1 per cento all’anno, anche se è finita la grande espansione economica e demografica. Il piano territoriale comprensoriale ha posto dei limiti alle previsioni comunali, e si propone di contenere l’espansione complessiva entro il 50 per cento, entro il duemila, che è già una “soglia di allarme”: se invece le cose continuassero ad andare per il verso sbagliato, osserva Gianni Beltrame, direttore del comprensorio, tutto il suolo verde e agricolo dell’area metropolitana milanese sarebbe finito entro 67 anni.

Al consumo di territorio per incontrollato avanzare di urbanizzazione, si aggiunge quello dovuto al degrado (brutta parola diventata ormai di uso comune), cioè a quell’insieme di interventi in vario modo offensivi e distruttivi, che vanno dall’attività selvaggia delle cave alle discariche di rifiuti all’isterilimento del suolo nelle sudicie frange periurbane. Come ha osservato l’economista Mercedes Bresso al convegno, in Lombardia le cave, “vera e propria industria del dissesto”, compromettono circa 20.000 ettari, pari al 2 per cento della superficie regionale. Ad essi va aggiunto un 1-2 per cento di discariche e di depositi di rifiuti, più un 8 per cento di “degrado diffuso” (spazi compromessi da utilizzazioni precarie, fasce di rispetto stradale, variamente occupate, depositi di materiali industriali, fabbricati in stato di abbandono eccetera): si arriva così all’11-12 per cento di territorio degradato, pari a circa 100.000 ettari, quasi il 10 per cento del suolo utile lombardo. Disordine, spreco, inquinamento delle falde idriche, erosione del suolo, distruzione di terreno agricolo: quanto costa il risanamento, il ripristino, il recupero di un terreno così devastato? Si valuta che il costo sarebbe di 35-40 milioni ad ettaro: quindi, in Lombardia occorrerebbe spendere 3.500-4.000 miliardi, che diventano almeno 10.000 se l’operazione venisse estesa ai casi che richiedono interventi complessi (sgomberi, abbattimenti, eccetera). Ecco quali sono i costi sociali scaricati sulla collettività dal saccheggio del territorio.

Altri dati allarmanti vengono forniti dall’indagine condotta dall’Assessorato al bilancio e alla programmazione della Provincia di Roma, circa le destinazioni d’uso previste dagli strumenti urbanistici dei 118 comuni che la compongono. Il risultato è che, senza contare Roma, è prevista l’edificazione (tra zone di espansione, di completamento e turistiche) di 2.300.000 stanze per altrettanti abitanti: se si aggiungono i 7-800.000 vani residui previsti dal piano regolatore di Roma (tra edilizia privata e pubblica) si arriva a più di 3 milioni di stanze: come costruire ex novo un’altra Roma accanto all’esistente. A tanto più giungere il sonno della ragione, l’allegra incoscienza urbanistica (intanto, da anni, il territorio della provincia romana viene consumato al ritmo di tre ettari al giorno).

La prospettiva è dunque certamente catastrofica: il “giardino d’Europa” corre alla rovina, e rischia di essere tutto consumato entro poco più di un secolo, a meno che mentalità, cultura e politica non cambino radicalmente. Che fare? Occorre mettere finalmente da parte il mito anacronistico, folle e rovinoso della crescita illimitata fatta solo di sprechi, e decidersi a considerare il territorio come il bene più prezioso perché scarso e limitato, quindi come bene collettivo da conservare gelosamente. Non si salva ciò che non si conosce: è urgente impegnarsi alla conoscenza scientifica del territorio e del suolo nei loro aspetti produttivi, fisici, geo-morfologici, ambientali, paesistici, naturalistici (uno studio del genere è stato fatto dal comune di Padova), e imparare a rispettarli.

Dobbiamo rovesciare il nostro modo di agire: non più urbanizzare alla cieca risparmiando eccezionalmente (quando pure a fatica ci si riesca) qualche area eminente, ma trattare tutto il territorio come un parco in linea di principio inedificabile, alla cui rigorosa salvaguardia subordinare ogni eventuale intervento. Altrimenti assisteremo alla distruzione del nostro stesso spazio di vita, e a poco a poco la terra ci sarà strappata di sotto i piedi.