venerdì 22 febbraio 2008

Le dinamiche (compresse) del prezzo del riso

Dalla Provincia Pavese del 22 febbraio 2008, la lettera di una coltivatrice di riso

Non si coltiva più riso? Colpa degli industriali

La Provincia pavese riporta l’appello del Ministero delle politiche agricole: «Agricoltori, coltivate più riso». Ed io mi domando: ma qualcuno (se non i diretti interessati) si è mai domandato il perchè di questo sempre più forte abbandono della coltivazione risicola in favore di altre colture? La risposta è semplice quanto terribilmente vera: non è più conveniente; non lo è più da anni in realtà e, da quando sono (giustamente) saliti i prezzi di altri cereali molto più semplici ed economici da coltivare, molti imprenditori hanno diversificato le produzioni trovando così una strada alternativa ad un problema ormai noto da tempo.
Ed è giusto: perchè mai un agricoltore dovrebbe continuare a puntare su una coltura più laboriosa e meno redditizia? Il riso è il cereale con i più alti costi di produzione rispetto a tutti gli altri, oltre ad avere i più alti rischi per problemi legati alla sempre più grande scarsità d’acqua, piante infestanti e malattie fungine dalle quali è minato; ed in proporzione è quello in assoluto meno pagato.
Per capire un po’ meglio come si è arrivati ad una simile situazione bisogna fare un piccolo passo indietro nel tempo: 20 anni fa, un quintale di riso Carnaroli grezzo (una delle più pregiate varietà di riso) veniva pagato dalle riserie attorno alle 180.000 lire; questa cifra, unitamente ai costi di produzione (gasolio, prodotti, terreni, eccetera) all’epoca molti inferiori rispetto a quelli odierni, permettevano agli agricoltori che puntavano su queste colture, di ripagare il proprio lavoro e di guadagnare in proporzione all’investimento di tempo e denaro.
Le riserie acquistavano pagando (evidentemente di buon grado) un prezzo più che giusto per un prodotto la cui richiesta era sempre molto alta. Poi, un bel giorno, un pugno di riserie divenute sempre più grandi e forti (grazie ai lauti proventi della lavorazione e rivendita del riso), decisero di voler guadagnare molto, molto di più, e posero un bel «cartello» sul prezzo di acquisto del prodotto grezzo, sopra al quale non comprare più. Il pesce grosso che mangia il più piccolo, vecchia storia...
Così le aziende che acquistano le maggiori quantità di riso hanno messo in ginocchio gli agricoltori che, a fine campagna, hanno bisogno di vendere il prodotto velocemente, anche a cifre misere, per poter far fronte alle spese di un anno di lavoro; devono venderlo perchè la maggior parte di loro non ha lo spazio fisico per poterlo stoccare... devono venderlo perchè oramai non ci sarebbe più nessuno disposto a pagarlo più dei vergognosi prezzi imposti.
Oggi, il medesimo Carnaroli che 20 anni fa veniva pagato 180.000 lire al quintale, gli agricoltori sono costretti a svenderlo attorno ai 32,00 euro. La proporzione, lo vedete voi stessi, non c’è... La cosa incresciosa è che questo abbassamento del prezzo del riso, non è certo dovuto ad una scarsità di richiesta, anzi! Non solo dall’Italia, ma anche dall’estero, la domanda è sempre più forte... e la risposta sempre più flebile perchè la cosa davvero triste è che stanno letteralmente uccidendo la coltivazione di questo pregiato e nobile cereale. Sottopagato, svilito e maltrattato da chi, grazie ad esso, si è arricchito a dismisura a discapito di coloro i quali lo coltivano e che non hanno la forza nè la possibilità di contrastarli. Qualcuno salvi le nostre bellissime risaie.
Cecilia Tabarelli

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